A Londra è iniziato il processo d’appello per l’estradizione del cofondatore australiano di WikiLeaks Julian Assange verso gli Stati Uniti. L’Alta Corte di Londra si deve esprimere sul ricorso presentato dalle autorità di Washington contro la decisione di primo grado con cui la giustizia britannica ha negato nel gennaio scorso l’estradizione di Assange.
In agenda sono previste due udienze, oggi e domani, mentre per il verdetto finale ci potrebbero volere diverse settimane se non mesi: fino a un termine massimo indicato dai media entro Natale o ai primi di gennaio.
Processo Assange, si attende la decisione dei giudici
Fuori dall’aula si sono riuniti stamattina diversi attivisti per invocare che il 50enne australiano non venga estradato. Assange si trova nelle condizioni di essere detenuto in attesa d’una decisione nel carcere di massima sicurezza inglese di Belmarsh ormai da due anni. Assange, però non ha alcuna pendenza penale nel Regno Unito.
Gli avvocati di Assange – la sua compagna Stella Morris e i collaboratori di WikiLeaks – ricordano inoltre che recente si sarebbe appreso che la Cia avrebbe predisposto nel 2017 un piano per rapire e uccidere Julian.
Cosa rischia Assange negli Usa
Assange rischia, se estradato, una pena monstre fino a 175 anni negli Usa. Negli Usa è ricercato da oltre 10 anni dopo la montagna d’imbarazzanti documenti segreti diffusi fin dal 2010 da WikiLeaks attraverso alcune delle più prestigiose testate giornalistiche al mondo. Si tratta di documenti fra cui spiccano i file del Pentagono trafugati dall’ex militare Chelsea Manning contenenti rivelazioni su crimini di guerra commessi in Afghanistan e Iraq.
Washington accusa l’ex primula rossa australiana di presunta complicità con Manning in pirateria informatica. Imputazione a cui in seguito ha aggiunto quella di violazione dello Espionage Act, contestata per la prima volta nella storia per un caso di rivelazione mediatica di documenti.
Processo Assange: perchè era stata negata l’estradizione
La giudice britannica di primo grado Vanessa Baraister aveva negato l’estradizione, pur rifiutando di accogliere le argomentazioni della difesa contro la legittimità di un’inchiesta denunciata da più parti come una vendetta politica e una minaccia alla libertà d’informazione.
Il no all’estradizione era arrivato sulla base di una perizia medica che ipotizzava rischi di suicidio per Julian Assange alla luce delle sue condizioni psico-fisiche e del trattamento giudiziario e carcerario al quale andrebbe incontro negli Stati Uniti. Ma il team legale che rappresenta il governo Usa è riuscito a ottenere il diritto a presentare appello sollevando dubbi sulla credibilità del perito.