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Il processo Depp-Heard, gli amori veri e quelli che feriscono: il racconto della settimana

Allegra è stata la donna che più mi ha fatto male nella vita, in assoluto. Mi vesto, prendo la bici e corro a comperare delle brioches per Ofelia, insieme ad altri fiori. Fanculo ad Amber Heard e un po’ anche a Johnny Depp. Il racconto della settimana.

4 Giugno 2022 09:414 Giugno 2022 09:46 Andrea Frateff-Gianni
Il processo Johnny Depp-Amber Heard, gli amori veri e quelli che feriscono: il racconto della settimana

Alla festa di presentazione di Sensazione ultra, il nuovo album di Ghali, mentre lui è alle prese con una miriade di interviste, siedo a un tavolino in disparte con Sofia. Compare un cameriere e ordiniamo una birra leggera e una bottiglia d’acqua minerale. Sofia si toglie gli occhiali da sole, spegne la sigaretta dentro un portacenere, sorride senza strizzare gli occhi e mi chiede: «Che te ne pare della serata?». «Mi sembra abbastanza divertente», le dico, facendo il sostenuto. «Ci sono tutti. Ale Cash, la Miki, Giorgio Di Salvo, Davide Giannella, Sha Ribeiro, Paola Manfrin, Caroline Corbetta, Massimo Torrigiani, Nicola Savino con sua figlia, Roffredo e la sua nuova fidanzata bulgara Zorni, le gemelle di Toilet Paper. Alessandro Giberti, il direttore di Rolling Stone, Giovanni Robertini, l’ex direttore di Rolling Stone, Marta Blumi Tripodi, che scrive su Rolling Stone. Più una serie di personaggi che hanno collaborato al disco, tipo Madame o Massimo Pericolo. Oh, e ho anche incontrato Marracash». «Giura? Marracash? Lo adoro, però non l’ho visto». «Era qui piccola, te lo giuro». «Allora è vero, sei famoso anche tu?», chiede lei. «Semi». Scrollo le spalle. Sofia si esibisce in un sorriso che non sembra fasullo. «Te l’ho detto bimba, faccio il deejay alla radio». Inarco le sopracciglia in modo fintolascivo, ma lei non sembra divertita. «Mi annoio un sacco a queste presentazioni, lui è sempre mega occupato e poi è la prima volta che facciamo un’uscita ufficiale assieme. Sono un po’ tesa», dice lei, indicando Ghali in mezzo alla mischia. «Non devi esserlo, bimba. Lui è una superstar, la tua famiglia possiede mezza Puglia. Qual è il problema? Il vostro futuro è già scritto. Probabilmente sarete i futuri Amber Heard e Johnny Depp», sorrido sardonico.

Una lunga pausa, di cui sono responsabile, da parte di Sofia e poi: «E tu adesso cosa farai, che io parto?». «Andrò a ritirare le ceneri di mio padre a Ginevra, “squotterò” la tomba di famiglia a Moltrasio e poi, se riesco, passerò qualche giornata in barca, a Portofino. Questa routine mi sta stritolando, mi manca l’aria. Ogni tanto penso che vorrei abbandonare il bar o perfino chiudere il programma alla radio. Vorrei solo scrivere poesie, allontanarmi dalla scena, iscrivermi ad un corso di tai chi, ritrovare la pace interiore. Tornare alle mie radici. Ritrovare le mie radici». Sorseggio la birra leggera con sicurezza. «Tornare alla realtà e ritrovare le mie radici. Del resto non è un caso se ovunque, da Instagram a Whatsapp, la mia foto profilo è il mio stemma di famiglia». Lei non dice niente. «Tipo, come dire, è difficile, è tremendamente difficile per me»,  sospiro, «è stato un anno terribilmente impegnativo, sotto tutti i punti di vista. Si capisce che sono agitato? Credo di avere perfino qualche spasmo». Mi fermo e bevo pensieroso un altro sorso di birra. «Io anche non mi sento proprio sicura di quello che sto facendo», dice Sofia. «Bimba, hai 21 anni, io alla tua età avevo già fatto tre overdose e due aborti, non drammatizzare». «Due aborti?», mormora Sofia. «Sto scherzando, un solo aborto piccola, uno solo». Poi faccio una lunga pausa, Sofia si alza dal tavolo e la osservo, rendendomi conto che la sua pelle perfetta sprigiona un aroma floreale che fa impazzire le mie narici. «Ehi, cosa succede?», domando. «Dove vai?». «Detesto sparire così», si scusa, alzandosi in piedi. «Ma Ghali mi cerca e domattina ho un aereo da prendere». «Ehm, be’, ascolta…», comincio. «Ci vediamo Andrea, ti ho detto, se scendi giù con la tua dolce metà fatti vivo». Si allontana senza voltarsi e scompare con un piccolo cenno di saluto. Un’ora più tardi torno verso casa in bicicletta con sparato a mille in cuffia del rap sessista e penso che piuttosto di occuparmi di tutte le cose che dovrei fare mi strapperei la pelle di dosso come Robbie Williams in quel video, Rock DJ.

Il processo Johnny Depp-Amber Heard, gli amori veri e quelli che feriscono: il racconto della settimana
Johnny Depp e Amber Heard (Getty Images).

Quando arrivo a casa mollo la bici in corridoio, mi tolgo le Nike dai pedi, mi sfilo la t-shirt bianca che ho comprato da Fortela l’altro giorno e raggiungo Ofelia sul terrazzo che si affaccia su Regina Giovanna. Sul tavolino di fronte a lei una coppa di fragole e un bicchiere mezzo vuoto di champagne. Mi chino per baciarla sul collo ma lei si ritrae e mormora qualcosa a proposito che è appena tornata dal lavoro ed è molto stanca, così finisco per appoggiarle le labbra in cima alla testa. «Vuoi un bicchiere anche tu?», chiede.
«Molto volentieri, ciccia», rispondo, mentre osservo il suo volto illuminato dallo schermo dell’iPad. «Cosa leggi, bella?». Indico l’articolo del Corsera, con una gigantesca foto di Johnny Depp al centro della pagina. «Leggevo di questa assurda storia a cui tutti sembrano essere interessati. Elena, la mia collega, è letteralmente impazzita. Questi due sembrano proprio fuori di testa. Pensa che c’è scritto che una volta lei gli ha addirittura defecato nel letto». «Très jolie». Scrollo le spalle. «A me sembrano due fuori di testa che, tra l’altro, hanno fatto entrambi, mettendo tutta questa roba in piazza, un’autentica figura di merda», sospira Ofelia. «Hai una sigaretta?». «È Hollywood, bella. Ehi, dov’è finito quel cerotto antifumo che dovevi metterti oggi?», indago, preoccupato. «Mi faceva barcollare dietro al banco del bar». Mi prende una mano e mi guarda in faccia. «Oh, mi sei mancato. Quando sono molto stanca sento sempre la tua mancanza». Mi abbasso, la abbraccio, le sussurrò nell’orecchio: «Ehi, chi è il mio amore?». Poi tiro fuori dalla tasca dei pantaloni il pacchetto di Gauloises, gliene passo una e mi siedo di fronte a lei, tra i gerani e le bouganville del terrazzo, perdendomi con lo sguardo sullo sventolio della bandiera del Milan che ho affisso la scorsa settimana dopo la vittoria dello scudetto. «È stata una settimana infernale, Andrea», dice Ofelia con aria assente. «Probabilmente è uno dei periodi più faticosi della mia vita». «Sono qui con te, bella». «Lo so che dovrei sentirmi confortata da questo», dice lei. «Comunque grazie.
Io anche sono assolutamente sommerso, bella, sommerso da fare paura», dico. «Assolutamente sommerso». «Abbiamo veramente bisogno di una vacanza», dice Ofelia.
«Affittiamo una barca a vela e trasferiamoci a Portofino fino al giorno della partenza per la Grecia». Sorrido, con un brivido. Ofelia si limita a annuire. Quando è chiaro che non ho più niente da dire si alza dal tavolo e si dirige verso la camera da letto. «Ti aspetto di là». «D’accordo», dico semplicemente. «A tra poco, bella». «Oh Andrew, prima che mi dimentichi». «Sì?». «Grazie per i fiori». Mi dà un bacio lieve e si allontana. «Sì, certo. Figurati».

«Cosa leggi, bella?». Indico l’articolo del Corsera, con una gigantesca foto di Johnny Depp al centro della pagina. «Leggevo di questa assurda storia a cui tutti sembrano essere interessati. Questi due sembrano proprio fuori di testa. Pensa che c’è scritto che una volta lei gli ha addirittura defecato nel letto». «Très jolie»

«Mi sento come un disco che suona con i giri sbagliati», mi ha detto Carlotta, una mia collega del bar, ieri sera. «È una bellissima espressione da deejay e rende perfettamente l’idea», le ho risposto, perché è esattamente il modo in cui mi sento anche io da un po’ di mesi a questa parte. La mattina dopo allo stesso tavolino, sullo stesso terrazzo che si affaccia su Regina Giovanna, faccio colazione con indosso solo le braghe del pigiama, come ho visto fare a Sean Connery in Licenza di uccidere. È venerdì, Milano è deserta per il ponte del 2 giugno e io ho appena spostato il mio biglietto in prima classe sul treno per Santa, perché il DaG, lo Swan 77 su cui sarei dovuto andare a dormire, è rimasto in Sardegna per il weekend. Dopo il caffè mi rollo uno spino di CBD, prendo il taccuino e inizio a stilare la lista delle cose da fare. Lista che comprende: una mail da inviare alla radio con le proposte per il palinsesto del prossimo anno, un paio di articoli da scrivere per il Foglio & il Messaggero, andare a ritirare le mie polo in tintoria, comperare l’erba, pianificare il ritiro delle ceneri di mio padre e infine organizzare il suo funerale. Sfogliando i quotidiani sull’iPad noto che, anche oggi, molto spazio è dedicato alla sentenza del processo Depp vs Heard, seguito per sei settimane da un pubblico immenso in diretta tv e in streaming su YouTube, Facebook, Twitter, TikTok e compagnia bella. Decido così d’impulso di dedicargli il pezzo settimanale per la mia rubrica su Tag43, così mi alzo, metto un vinile di Miles Davis sul piatto, afferro l’iPad e inizio a scrivere.

 

 

Agosto 2004. Prima che questa storia cominciasse Milano era deserta e faceva parecchio caldo. Alcuni tra i tuoi amici erano a Barcellona, Creta, Ibiza, Salento. Pochi altri, impavidi, resistevano spavaldamente in città. La ragazza di cui ti illudevi ingenuamente di essere innamorato prendeva già probabilmente il sole su una spiaggia greca con il suo fidanzato e la bionda, che avevi scopato con poco trasporto fino a pochi giorni prima, era partita per Bali, via Amsterdam, con le lacrime agli occhi. Tu, dal canto tuo, aspettavi solamente di finire di lavorare al Picaflor e raggiungere il drugo Fede nel suo buen retiro a Sestri. In definitiva, ça va sans dire, ti sconvolgevi parecchio tra festini, droghe pesanti, serate fuori a bere con ex fidanzate tornate dopo nove mesi di Erasmus, prostitute, auto rubate, ubriacature moleste e altre sciccherie del genere. In quel periodo ti eri anche rasato a zero, in onore a Marlon Brando e a Apocalypse Now, (che vedevi in loop tutte le notti in accoppiata a Kamikazen di Gabriele Salvatores), anche se in realtà somigliavi di più a Lupin III. A Sestri trascorrevi 12 giorni incerti, spendevi un sacco di soldi, tornavi tutte le mattine a casa barcollante e quando non eri troppo ubriaco, a volte, ti perdevi nel malinconico panorama ligure e pensavi a Giulia, al corteggiamento serrato che avevi messo in piedi e a quanto tutto avesse ormai perso di senso. Più che altro con il drugo Fede erano stati 12 giorni ipnotici. A volte ce ne andavamo in lobotomia  e così dovevamo scappare a Chiavari, Lavagna, Riva, Rapallo, Santa, Zoagli, anche se il drugo Fede era sempre nervoso; stressato dalla tesi di laurea al DAMS di Bologna, mal sopportava sia le quotidiane telefonate della fidanzata da Londra che la presenza dei genitori in casa e si lamentava di continuo perché voleva scoparsi altre fighe ed essere magari in Spagna, Portogallo, Brasile o in Grecia. Poi c’è stata Tenerife e in poche parole quella fu l’estate in cui io e Allegra ci fidanzammo. Dormivamo al Country Club in una gigantesca suite con una terrazza grande il doppio che dividevamo con gli altri, e quasi tutti avevano un’aria rilassata e sana, abbronzata e levigata e vagavano senza scopo. Gli aerei passavano a pochi metri di distanza sopra le nostre teste a qualsiasi ora del giorno e della notte. Con Allegra bevevamo una serie infinita di cuba libre e gran parte della giornata la trascorrevamo a letto, nudi, sotto delle enormi lenzuola bianche. Facevamo l’amore di continuo. Allegra era fidanzata. Continuavamo a ripeterci che non era importante, che non ce ne fregava niente, affanculo, cosa non difficile da fare. Ci trovavamo in un “non luogo”. Se avessimo potuto saremmo rimasti a Tenerife in eterno. Io ero bellissimo.

Dopo l’ultima delle nostre furiose liti, che forse è andata un po’ troppo oltre, l’appartamento di Allegra in Corso Venezia sembra Beirut alla fine degli Anni 70

Dicembre 2007. Dopo l’ultima delle nostre furiose liti, che forse è andata un po’ troppo oltre, l’appartamento di Allegra in Corso Venezia sembra Beirut alla fine degli Anni 70. Danneggiati due quadri del settecento, rotti piatti, bicchieri, sfasciati tavoli, specchi e due lampade. In fondo c’era da aspettarselo, perché dopo otto Bloody Mary in due al Bar Basso e tre bottiglie di vino a cena al Mandarin, il segno probabilmente era già stato abbondantemente passato. «Tu sei malato», mi disse Allegra, prima di tirarmi un bicchiere di vino in faccia, seduti uno di fronte all’altro, ai tavolini del Mandarin. «Non combini niente di buono. Fai solo cose sbagliate. In quante migliaia di locali passi la notte?», mi disse Allegra, paonazza in volto, seduta sul divano di casa sua, tre ore più tardi, poco prima che iniziassi a spaccare tutto. «Pensavi di farla franca? Spiegami esattamente perché è accaduto tutto questo Andre, dimmelo!», mi disse Allegra, poco prima di sbattermi fuori, tirandomi addosso due piatti e un portacenere, mentre mi aggiravo per il suo appartamento, in cerca del Woolrich, alle sei del mattino. «Sei una cazzo di psicopatica!», le rispondevo, infilandomi il giubbotto, e le urlavo «non ti voglio vedere mai più, ammazzati!», mentre scendevo le scale del palazzo patrizio, diretto verso la strada. E quella sera, più di altre, desiderai davvero vederla morta.

 

Poi, quando mi rendo conto di non essere riuscito a scrivere nulla di sensato, chiudo l’iPad, torno sul terrazzo affacciato su Regina Giovanna e, mentre mi accendo una sigaretta, penso che alla fine, Allegra sia stata la donna che più mi ha fatto male nella vita, in assoluto. Così mi vesto in fretta e furia, prendo la bici, scendo e corro nella abbagliante luce estiva di un mattino di giugno verso Sissi a comperare delle brioches per Ofelia, insieme ad altri fiori. In culo ad Amber Heard e un po’ anche a Johnny Depp.

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