Dalla Cisgiordania a Gaza. Si alza la tensione in Israele e nei Territori occupati dopo l’incursione militare nel campo profughi di Jenin che ha causato almeno 10 vittime, tra cui diversi miliziani e una donna di 60 anni. La prevista risposta palestinese non si è fatta attendere. Nella notte tra giovedì e venerdì dalla Striscia sono stati lanciati tre razzi verso Israele. Quindici invece i missili lanciati da Tel Aviv. Fonti locali hanno riferito ad Al Jazeera che sono stati colpiti il campo profughi di Al-Maghazi, il quartiere di Al-Zaitoun a sud di Gaza City e un’area a est di Beit Hanoun, a nord della Striscia. Non si hanno notizie di morti o feriti. Gli obiettivi, almeno secondo quanto riferito dall’esercito israeliano, erano una base di addestramento di Hamas e un laboratorio per la costruzione di testate.

Si teme una escalation come accadde nell’agosto 2022 con l’operazione Breaking Dawn
Venerdì mattina il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha ordinato ai militari di «prepararsi all’azione» nel caso fosse necessario rispondere a eventuali attacchi dalla Striscia di Gaza, «fino a quando non sarà ripristinata la calma per i cittadini di Israele». Al momento non ci sono state rivendicazioni da parte palestinese. Tuttavia, il portavoce di Hamas, Hazem Qassem, ha dichiarato che i gruppi armati a Gaza «continueranno a svolgere il [loro] dovere di difendere il popolo palestinese e rimarranno lo scudo e la spada del popolo». Il timore è che la situazione degeneri come accaduto lo scorso agosto con l’operazione Breaking Dawn nella Striscia, tre giorni di combattimenti durante i quali persero la vita 49 persone.

Come Netanyahu può trarre vantaggio dall’escalation
L’incursione a Jenin – una delle roccaforti della resistenza palestinese dove lo scorso maggio venne uccisa la giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh, condotta dalle forze di difesa israeliane, dalle unità antiterrorismo Yamam e dal servizio di sicurezza Shin Bet per sventare un potenziale attacco terroristico – e l’attesa risposta palestinese – potrebbero essere cavalcate dal governo di Netanyahu per distogliere l’attenzione dalle proteste che stanno colpendo l’esecutivo per la riforma giudiziaria. L’operazione a Jenin sarebbe quindi un diversivo. Innescare una nuova rivolta nei territori darebbe fiato a Netanyahu che potrebbe sfruttare l’allarme sicurezza a suo vantaggio. L’incursione infatti ha avuto luogo poche settimane dopo l’insediamento del nuovo governo israeliano, il più a destra di sempre, e proprio mentre nel Paese stanno divampando le proteste per la riforma della magistratura portata avanti dal ministro della Giustizia Yariv Levin, che mira a limitare i poteri dei giudici. Nel mirino dell’esecutivo anche la Corte Suprema e alcune delle sue sentenze compresa quella che definisce “illegali” le colonie israeliane in Cisgiordania. Per questo centinaia di migliaia di persone erano scese in piazza in varie città, da Gerusalemme a Haifa fino a Tel Aviv. E nuove manifestazioni sono attese per domani 28 gennaio. Lo stesso presidente Isaac Herzog si era detto preoccupato: «Siamo alle prese con un profondo disaccordo che sta lacerando la nostra nazione», aveva messo in guardia.