«Il confine tra la club culture e il jazz sta finalmente scomparendo», ha dichiarato in una recente intervista al The Guardian il dj, conduttore radiofonico, giornalista e discografico Gilles Peterson. Colonna della storica emittente inglese Bbc, Peterson ha catalizzato attorno a sé, alla sua web radio worldwide.fm e alla sua etichetta Bronswood Recordings, tutta la fiorente scena musicale londinese, portando alla ribalta un nuovo sound che è stato capace di mescolare le antiche origini del jazz britannico con suoni tipici jamaicani, dell’hip-hop, del funk e dei ritmi africani.
La scena del nuovo jazz londinese e Shabaka Hutchings
Come scritto sul Tascabile da Giorgio Pecci, a suo volta dj e promoter di eventi culturali, provare a tracciarne i confini è un’impresa difficile: «Quella del nuovo jazz londinese è una scena nata a metà tra la casuale spontaneità e gli sforzi politici di creare uno spazio sociale fino a quel momento inesistente». Dovessimo indicare un nome di riferimento per illustrare questa new wave militante, sicuramente la scelta ricadrebbe su quello del sassofonista Shabaka Hutchings. Nei suoi tre progetti, Shabaka and the Ancestors, Sons of Kemet e The Comet Is Coming sono disseminati calypso, dub, ritmi afrofuturisti e omaggi sparsi a Sun Ra, Miles Davis e alla musica da party, intrisa di sudore, di New Orleans.
Hutchings, ha una presenza imponente e ha un debole per le cose cosmiche. È anche onnipresente, avendo suonato con artisti del calibro di Melt Yourself Down della metà degli Anni 2000, con il pioniere dell’ethio-jazz Mulatu Astatke e con Jonny Greenwood dei Radiohead.
Hutchings fa parte di quella generazione di musicisti che hanno meno di 40 anni, sono cresciuti ascoltando l’hip hop e ora stanno riversando nel jazz quegli ascolti, esattamente come Oltreoceano ha fatto il losangelino Kamasi Washington che Nate Chinen, celebre critico del New York Times, ha citato come personaggio simbolo della rinascita del jazz in questo nuovo millennio. Inizia infatti così il suo saggio intitolato Playing Changes: Jazz for the New Century, tradotto in italiano in La musica del cambiamento dai tipi de il Saggiatore, dove Chinen traccia la genesi di questa nuova ondata, citando personaggi mastodontici come il produttore J Dilla o Madlib, pionieri che hanno attinto nella loro carriera dal jazz a piene mani, o due tra i maggiori intellò della scena pop contemporanea come il rapper di Compton Kendrick Lamar o il genietto, e nipotino di Alice Coltrane, Flying Lotus.
La sfida dell’etichetta di Chicago Internationa Anthem
Da segnalare, inoltre, l’enorme lavoro che sta facendo International Anthem, un’etichetta indipendente con base in un magazzino nel South Side di Chicago, fondata da Scott McNiece con in pancia un catalogo di oltre 50 dischi e sotto contratto un manipolo di artisti di altissimo livello tra cui possiamo annoverare il batterista Makaya McCraven, la trombettista newyorkese Jaimie Branch, il cornettista, polistrumentista, cantante ed eclettico compositore Ben LaMar Gay e colei che, senz’alcun dubbio, ha rappresentato il debutto d’avanguardia più insolito e sorprendente del decennio, ovverosia la clarinettista, tastierista, cantante e compositrice di Chicago Angel Bat Dawid. Sembrano quindi fortunatamente lontani i tempi in cui il jazz non era per niente cool e in cui solo a sentirlo nominare la gente sbuffava: «Oh no, è terribile». Resta il fatto che l’atteggiamento di tutta questa fluida e strepitosa scena, con un’attitudine sorprendentemente vicina a quella del punk, è riassumibile in un pensiero del tipo: «Fanculo! Stiamo facendo qualcosa che probabilmente non sarà comunque popolare, però è quello che ci sentiamo di fare. E questo è più che sufficiente!». Nevermind the bollocks, avrebbero risposto i Sex Pistols.