Ius ori
L'uscita di Malagò dopo il trionfo di Jacobs ha scontentato tutti, ma ha avuto il merito di riaccendere la discussione sul diritto di cittadinanza. Troppo spesso confuso con un premio.
Ci voleva la storica medaglia d’oro di Marcell Jacobs a Tokyo 2020 per riportare lo Ius soli al centro dell’agenda. È bastato un centometrista, nato in Texas ma cresciuto a Desenzano del Garda fin dai 18 mesi di età, a far scattare di nuovo le sirene sulla riforma della cittadinanza, quasi dimenticando che l’Italia del calcio ha vinto un Europeo attingendo a piene mani da giocatori di origine straniera (naturalizzati per lo ius sanguinis). Su tutti Jorginho, l’unico insostituibile della Nazionale di Roberto Mancini.
La proposta di Malagò che scontenta tutti
Peccato, però, che il tema sia stato posto in maniera un po’ distorta e surreale. Il motivo? Una proposta, avanzata da Giovanni Malagò, che immagina, ancora una volta, la cittadinanza come una specie di bonus e non come un diritto. «A 18 anni e un minuto, chi ha determinati requisiti deve avere la cittadinanza italiana, senza dover affrontare una via crucis che spesso fa scappare chi si stanca di aspettare», ha scandito il presidente del Coni, caldeggiando l’idea dello Ius soli sportivo. Una corsia preferenziale, insomma, per chi dà calci a un pallone o chi si allena su una pista di atletica. E magari porta a casa risultati importanti. Ma le parole di Malagò non sono piaciute né a sinistra, né ovviamente a destra. «La richiesta del presidente non può essere presa in considerazione. La sua visione non è corretta, perché la cittadinanza è un diritto che deve essere previsto dall’ordinamento, per tutti, e non deve arrivare per meriti sportivi», osserva il deputato di Liberi e uguali, Luca Pastorino. Che aggiunge: «Di sicuro è fondamentale rilanciare la questione dello Ius Soli con una riforma che possa far scrivere all’Italia una legge, che è un atto di civiltà. Senza fare troppi giri di parole: chi nasce in Italia deve essere considerato italiano». Lo sbarramento c’è stato, come prevedibile, anche dal leader leghista, Matteo Salvini, seppure per le ragioni opposte: «Godiamoci le medaglie, non c’è bisogno di cambiare alcuna legge. Squadra che vince non si cambia». Insomma, per la Lega non c’è all’orizzonte nessuna riforma, indipendentemente dalla modalità. Così, l’idea di Malagò ha registrato un record: ha scontentato proprio tutti. Anche se ha avuto un piccolo e parziale merito: ricordare la questione.

Se la cittadinanza è un premio e non un diritto
Resta il fatto che in assenza di un confronto politico serio, lo Ius soli venga riesumato di volta in volta e trattato come un premio da assegnare. Una visione che non riguarda solo l’ambito sportivo. La cronaca racconta di Adam e Rami, i due ragazzi (uno di origine marocchina, l’altro egiziana) che nel marzo del 2019 salvarono i compagni sul bus dirottato a San Donato Milanese. Grazie a una loro telefonata fu possibile sventare il piano omicida dell’autista Ousseynou Sy. Allora, ironia della sorte, fu il ministro dell’Interno Salvini, a firmare il via libera alla concessione della cittadinanza. Ma con un paletto, messo all’epoca dall’altro vicepremier, Luigi Di Maio: «Lo Ius soli non è nel contratto né nell’agenda di governo».
I passettini di Letta e la proposta sfumata di Bersani
Del resto anche il segretario del Pd, Enrico Letta, ha ormai riposto nel cassetto l’iniziativa politica, dopo aver annunciato una battaglia al momento dell’insediamento alla leadership del partito. «Il tema dello Ius soli è sempre stato uno dei punti forti della nostra identità e del nostro impegno. E lo sarà anche per me: continuerò su questo e ci metterò sempre più impegno e più carica», sosteneva, appena eletto. Da allora la questione viene agitata come una prospettiva lontana, un impegno per il futuro in qualche dichiarazione pubblica. Che per il centrosinistra fosse un antico cavallo di battaglia, basti citare l’impegno di Pier Luigi Bersani, quando era leader del Partito democratico nel 2013. Inserì la riforma tra gli otto punti da sottoporre al Movimento 5 stelle per un’alleanza di governo. Poi le cose sono andate male per Bersani e a Palazzo Chigi ci è finito Letta, che per un qualche periodo ha tenuto sotto traccia la riforma. Tanto che solo l’approdo alla presidenza del Consiglio di Matteo Renzi ha dato l’impulso a uno Ius soli, peraltro molto temperato, perché prevedeva una serie di criteri. Su tutti, per esempio, il testo sosteneva che un bambino, nato in Italia, potesse diventare italiano se almeno uno dei due genitori era in Italia da almeno 5 anni. Il provvedimento fu approvato alla Camera, ma al Senato non è stato discusso. L’allora alleato dei dem, l’ex delfino di Berlusconi Angelino Alfano, annunciò la contrarietà del suo partito alla legge. La questione si chiuse con una farsa: il 23 dicembre, a poche ore dalla chiusura dei lavori per le festività di Natale e della fine della legislatura, venne a mancare il numero legale a Palazzo Madama per portare avanti quantomeno la discussione. Perché al di là delle illusioni, la cittadinanza italiana si ottiene solo in via straordinaria, come una sorta di riconoscimento per alti meriti. Non per diritto.