ItsArt, la Netflix della cultura italiana, si sta rivelando un clamoroso flop. La piattaforma che il ministro della Cultura Dario Franceschini aveva lanciato un anno fa con una presentazione pomposa e altisonante, ha perso oltre 7,5 milioni di euro, contro 245 mila di guadagni. Tra le voci che hanno pesato di più nel bilancio 2021 appena pubblicato i costi del personale (900 mila euro). Insomma la piattaforma non funziona, non ha appeal e dalla Camera spiegano che «il progetto va rivisto».

ItsArt è «un investimento pubblico di 20 milioni di euro»
La piattaforma digitale di ItsArt è stata, fin qui, un fallimento. Non a caso ha cambiato tre amministratori delegati in pochi mesi, con Andrea Castellari ultimo in ordine di tempo a insediarsi lo scorso febbraio. A spiegarlo è stato Daniele Belotti, capogruppo della Lega in commissione Cultura alla Camera: «Fin dal suo debutto la Netflix della cultura italiana, come l’aveva pomposamente ribattezzata Franceschini, non funziona e a oggi sono appena 200 mila gli utenti registrati. Stiamo parlando di un investimento pubblico di circa 20 milioni di euro a fronte di ricavi di soli 245 mila euro, di cui solo 140 mila euro in otto mesi dalla vendita degli spettacoli offerti ai circa 200 mila utenti registrati. A rendere ancora più critica la situazione sono i tre amministratori delegati che si sono succeduti in un solo anno, segno che non c’è molta fiducia in questo costoso progetto. Non possiamo tollerare simili sprechi con i soldi dei contribuenti».

Il primo bilancio registra una perdita di 7 milioni e mezzo
E mentre sui media si parla di ItsArt come una «pessima idea», resta da capire chi pagherà quel buco da 7,5 milioni. La società è una Spa presieduta da Giorgio Tacchia, amministratore delegato di Chili, società che controlla il 49 per cento della piattaforma. Azionista di maggioranza con il 51 per cento, invece, è Cassa Depositi e Prestiti. Da ItsArt spiegano che la perdita appare «compatibile con la fase di start-up che ha caratterizzato il primo anno di esercizio». L’idea sarebbe quindi di insistere con pubblicità e marketing, ma il rischio è di dover utilizzare risorse ormai al minimo e di non poter battere la concorrenza delle piattaforme streaming di semplice intrattenimento.