Lo scontro a Ottoemezzo con Marco Travaglio sul tema giustizia e intercettazioni è solo l’ultimo capitolo di quella che sta diventando una piccola saga televisiva. Eh sì, perché il ritorno in grande stile sotto i riflettori di Italo Bocchino ha il sapore nostalgico dei bei tempi che furono e al tempo stesso restituisce il senso di una nuova destra di governo che ha bisogno di rifarsi il look: meno tatuaggi e più camicie bianche, meno facce da rissa e più profili da salotto.
Bocchino porta in dote alla destra meloniana il bon ton incravattato e l’aplomb da primo della classe
L’ex parlamentare di An, pur a valle di un curriculum politico non perfettamente in linea con l’ortodossia meloniana, si innesta adesso alla perfezione nel nuovo corso. E porta in dote quel suo naturale bon ton incravattato con colori spesso sgargianti, quell’aplomb da primo della classe con il ditino alzato. Sostenuto, va detto, da un aspetto invidiabile, quasi “freezato” nel tempo, alla faccia degli anni che passano. Nell’ottica del radical chic, il suo potrebbe essere il look di un agente immobiliare che ce l’ha fatta. Ma sarebbe ingeneroso, anche se a questa sorta di acribia stilistica fa da contraltare una pedante, quasi feroce monotonia negli argomenti. Senza dubbi ed esitazioni, Bocchino veste infatti i panni dell’aedo meloniano e dopo anni di pressoché totale inabissamento è tornato a popolare sul piccolo schermo con tromba da araldo per annunciare le magnifiche sorti e progressive della nuova stagione politica post missina e post aennina. Materie che lui ovviamente conosce benissimo e non solo perché oggi è direttore editoriale del Secolo d’Italia. Il quotidiano è di fatto l’organo di stampa di Fdi anche se formalmente fa capo alla Fondazione di Alleanza nazionale, la vera cassaforte della destra, di cui peraltro lo stesso Bocchino aveva a suo tempo osteggiato la nascita. Dagli uffici al secondo piano di via della Scrofa l’ex delfino di Gianfranco Fini ha contribuito in modo rilevante a risollevare le sorti della testata, che aveva già guidato dal 2014 al 2019. Eh sì, perché il suo vero bernoccolo oltre alla politica, ça va sans dire, è il giornalismo. Esattamente come accade a Giorgia Meloni.

La carriera politica dal Msi ad An fino a Futuro e libertà
Napoletano di origine, classe 1967, Bocchino ha disegnato una parabola abbastanza nota: precoce trasferimento in Umbria e prime militanze a Perugia nel Fronte della gioventù e nel Fronte universitario d’azione nazionale. Poi il ritorno all’ombra del Vesuvio, altri incarichi importanti nel Msi e soprattutto il ruolo di portavoce di uno dei grandi fautori della svolta moderata della destra, il rimpianto Pinuccio Tatarella, con tanto di impegno giornalistico nel Roma, il quotidiano napoletano edito dallo stesso “ministro dell’armonia”. Per Bocchino arriva così il salto di qualità e dal 1996 parte un filotto di quattro legislature che lo vedranno protagonista in Parlamento, fino alla rottura di Fini con Berlusconi, nel 2010, e la nascita di Futuro e libertà per l’Italia. In quel frangente drammatico l’ex aennino è il vero pupillo dell’allora presidente della Camera e il suo vicario: veste i panni di capogruppo di Fli fino al 2013 e prende di fatto le redini del neonato partito mentre il grande capo è assiso sullo scranno più alto di Montecitorio. «Sono stato epurato. Berlusconi ha chiesto la mia testa», dice tra le altre cose con posa enfatica. Tuttavia, alle Politiche del 2013 il tentativo di “uccisione del padre”, in senso politico, non riesce: la creatura finiana appoggia Mario Monti come candidato premier, ma va malissimo e rimedia percentuali da prefisso telefonico. Così lo stesso Fini resta fuori dalle Camere e porta con sé nel baratro tutti i suoi uomini. Mentre Fli rimane sepolta sotto le macerie politiche della casa di Montecarlo. Un colpo durissimo per l’ego del buon Italo, che nel frattempo aveva addirittura prodotto la roboante autobiografia Una storia di destra (Longanesi). A latere, da segnalare la sua sconfitta contro Antonio Bassolino alle elezioni regionali in Campania nel 2005 e qualche piccola grana giudiziaria legata all’affaire Telekom Serbia e all’inchiesta Global Service. Tutto risolto senza conseguenze.

La riscoperta del garantismo e la difesa del ministro Nordio
La stessa società Global Service chiama però in causa il nome del discusso imprenditore casertano Alfredo Romeo, con cui Bocchino ha intrattenuto floridi rapporti da consulente. In un altro processo che vede protagonista proprio Romeo, quello relativo a uno dei filoni della vicenda Consip, l’ex finiano è ancora oggi imputato per traffico di influenze illecite. Forse non è un caso, allora, che la svolta mediatica in senso garantista del direttore del Secolo suoni adesso squillante e che la difesa del Guardasigilli Carlo Nordio sia persino più realista del re, dato che le parole sulle intercettazioni dell’inquilino di Via Arenula hanno nel frattempo fatto infuriare non poco i colonnelli di Fdi e hanno disturbato la stessa premier Meloni (mentre piacciono moltissimo, guarda caso, ai berlusconiani). Eppure ai tempi dell’addio dei finiani al Pdl, Bocchino stendeva sul tema dichiarazioni di tutt’altro tenore: «Non possiamo permettere che la stampa venga imbavagliata. Se la maggioranza vuole proseguire con questo scempio, noi ci opporremo per il bene dell’informazione». Adesso, invece, gli tocca difendere tutte le misure messe in campo dal governo, anche le più controverse. E dunque: la flat tax crea sperequazioni? Sì, ma l’aveva fatta prima il Pd. O ancora: «La Fiamma? Ha contribuito alla democratizzazione del Paese». E poi spaziando: «Valditara? Conosce la scuola da 25 anni, prima c’era Azzolina». Ma soprattutto: «Meloni leader tosta come una barra di titanio». Insomma, anche quando si aprono gli armadi e si trovano gli scheletri, Bocchino è lì pronto a vestirli con abiti decenti per presentarli al meglio. «Il problema dell’umanità è che gli stupidi sono sempre sicurissimi, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi», diceva Bertrand Russell. Ma qui il tema non è il sale in zucca, bensì il gioco delle parti che il sistema (anche mediatico) impone.

Il ritorno mediatico di Fini e Bocchino a opera di due colonne di sinistra come Annunziata e Gruber
Anzi, il nostro ha scaltrezze e abilità non comuni, va riconosciuto. Ha superato in modo financo brillante momenti di pesante imbarazzo personale, come quando è venuta a galla la liaison dangereuse con Mara Carfagna, un affaire che ha fatto crollare il suo matrimonio con la produttrice cinematografica Gabriella Buontempo e ha spinto Bocchino a produrre le opportune scuse in diretta tv. E poi la fugace tresca con Sabina Began, la cosiddetta “ape regina” dei bunga bunga berlusconiani: una relazione che in verità sapeva di trappola e di ricatto. E che l’ex deputato portò in tribunale per le intime interazioni tra i due sbandierate in pubblica piazza dalla stessa attrice bosniaco-tedesca. Adesso, sembra quasi un segno del destino la pressoché contemporanea riesumazione mediatica di Fini e Bocchino a opera di due colonne del giornalismo tv di sinistra, rispettivamente Lucia Annunziata e Lilli Gruber. Il primo sparge la saggezza prudente del padre nobile, il secondo preferisce mostrare con feroce compostezza i denti lucidi del cane da guardia. Una volta l’ex aennino disse: «La mia vocazione è la politica, la Camera il mio convento». Ora è fuori dal Parlamento, ma le litanie possono proseguire sugli altari della televisione.