Alla fine, l’ago della bilancia potrebbe pendere nella direzione dei soldi. Troppo grandi gli interessi tra Italia e Turchia, perché le tensioni dell’ultimo periodo possano risolversi in uno scontro totale. È vero, da un po’ di tempo il presidente Recep Tayyip Erdogan ha un bel da fare per mantenere i rapporti tra il suo Paese e l’Occidente. Prima si è consumato il “sofa-gate” con Ursula von der Leyen. Un incontro fissato per discutere l’accordo sui migranti è passato alla storia per lo sgarbo alla presidente della Commissione Ue. Poi la mini-crisi diplomatica con l’Italia, con quel “dittatore” pronunciato da Mario Draghi nei confronti di Erdogan che ad Ankara non è andato giù e a cui sono seguite dure parole di condanna, il richiamo dell’ambasciatore italiano in Turchia e la sospensione (ma non cancellazione) di contratti milionari con Leonardo per la fornitura di elicotteri. Non solo. Il Sultano ha rilanciato, provando invano a scippare a Roma la partita inaugurale dei prossimi Europei di calcio, in programma l’11 giugno proprio fra gli Azzurri e la nazionale del Bosforo.
Tensioni anche con gli Usa
Erdogan quasi in contemporanea ha dovuto fronteggiare pure il colpo sganciato dagli Stati Uniti, con il riconoscimento da parte di Joe Biden del genocidio degli armeni del 1915. Dichiarazione a cui è seguito il richiamo dell’ambasciatore statunitense. “La Turchia non ha da niente da imparare da nessuno sulla propria storia”, è stato il commento del ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu.
“Words cannot change or rewrite history.”
We have nothing to learn from anybody on our own past. Political opportunism is the greatest betrayal to peace and justice.
We entirely reject this statement based solely on populism.#1915Events
— Mevlüt Çavuşoğlu (@MevlutCavusoglu) April 24, 2021
Scaramucce più mediatiche che altro, visto che nessuno di questi “incidenti”, al momento, ha provocato una vera rottura. Del resto, da tempo la Turchia si ritrova, per scelte strategiche, a entrare in contrasto con i suoi partner occidentali: le tensioni con gli Usa, infatti, non sono nuove, ma risalgono alle amministrazioni Obama e Trump (per motivi diversi: il primo, in Siria, sostenne le forze curde rivali di Ankara. Il secondo, soprattutto attraverso il Segretario di Stato Mike Pompeo, si scontrò con Erdogan per aver acquistato elicotteri dalla Russia, invece che dagli Usa). Anche la relazione con l’Unione europea vive di alti e bassi: il mancato ingresso nella Ue, i rapporti non facili con i vicini Grecia e Cipro, l’espansione dell’influenza in Libia e la questione dei migranti sono solo alcuni dei motivi di tensione. Erdogan, poi, si sarebbe aspettato una condanna più netta, da parte degli alleati della Nato, al tentato golpe del 15 luglio 2016, mentre le reazioni internazionali furono tutte abbastanza tiepide.
La crisi della lira e il balletto dei governatori della Banca centrale
Dal punto di vista interno, inoltre, la Turchia sta attraversando una nuova crisi della lira che ha portato, a fine marzo, al licenziamento del governatore della Banca centrale Naci Agbal, in carica da soli cinque mesi. Non una novità dell’ultimo periodo: da luglio 2019 Erdogan ha cambiato quattro governatori, colpevoli di non aver attuato le politiche monetarie volute dal presidente e di non essere stati in grado di frenare l’inflazione crescente. La sostituzione di Agbal, nell’immediato, ha causato un crollo della lira del 15%, poi assestatosi sul 10. E va ricordato che, nel 2018, il Paese subì una grave crisi finanziaria proprio per la debolezza della moneta nazionale.
Italia-Turchia, la partita vale 15 miliardi
Tornando al rapporto Italia-Turchia, il blocco del contratto con Leonardo, nonostante non abbia preoccupato particolarmente Palazzo Chigi, ha dato un segnale di come Ankara sia pronta a reagire ad altre eventuali provocazioni. Anche perché, con l’ex Finmeccanica, sono stati lanciati avvertimenti piuttosto chiari anche ad Ansaldo Energia. Difficile però pensare a una brusca frenata nei rapporti politici e commerciali tra i due Paesi: prima della pandemia l’interscambio Italia-Turchia valeva circa 18 miliardi di euro. Nel 2020, nonostante i problemi causati dal Covid, si è abbassata a 15. Ancora troppi, per poterne fare a meno da un momento all’altro.
Ferrero, Pirelli, Unicredit: chi investe in Turchia
A confermarlo altri numeri: per Roma, Ankara è il 12esimo partner commerciale. Per la Turchia, l’Italia è il quinto, il secondo europeo dopo la Germania. E sono tante le grandi aziende italiane che operano nel Paese. Una di queste è la Ferrero, finita nel 2019 al centro del dibattito politico per il “boicottaggio della Nutella” lanciato da Matteo Salvini, proprio per l’utilizzo di nocciole turche al posto di quelle italiane. Grazie agli affari sul Bosforo il gruppo di Alba controlla tra il 20 e il 30% del commercio mondiale di nocciole, e nel 2020 ha finanziato, con 4 milioni di dollari, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, per contrastare il fenomeno del lavoro minorile nella filiera turca. Tra le 1.500 aziende italiane presenti nel Paese (nel 2018 gli investimenti diretti sono stati di oltre 500 milioni di euro) c’è anche Pirelli, che nel 2010 ha creato a Izmuit “la Fabbrica dei campioni”, il più grande stabilimento dell’azienda al mondo in cui vengono prodotti gli pneumatici che riforniscono la Formula Uno, e non solo (da lì vengono fuori 7 milioni di pneumatici all’anno). Un impianto inaugurato per celebrare il 50esimo anniversario della presenza di Pirelli in Turchia, una storia che va avanti ormai dal 1960. Presente anche Unicredit, che ha una partecipazione rilevante in Yapi Kredi, quarta banca privata del Paese con una quota di mercato del 10,2%. Già nel 2019 però, dopo la crisi della lira, il gruppo di Piazza Gae Aulenti ridusse la propria quota al 32%, non convinto dalle politiche di governo e della Banca centrale.
Gli affari di Ansaldo Energia e dei grandi costruttori
Importanti anche gli affari di Ansaldo Energia, che da tempo ha una partecipazione del 40% in Yeni Elektrik, gruppo che controlla una centrale elettrica a Gebze. Da un anno, l’azienda italiana sta trattando con banche e autorità di Ankara la gestione dei debiti milionari accumulati dalla centrale. Opera in Turchia Salini Impregilo, che nel 2019 si è aggiudicata un appalto da 530 milioni di euro per la costruzione del “Nuovo Orient Express” ad alta velocità tra Istanbul e la zona al confine con la Bulgaria. Ma il gruppo, negli anni, ha svolto opere civili per 260 milioni, nei pressi dell’impianto idroelettrico di Cetin, ha costruito l’ospedale di Gaziantep e ha realizzato un impianto di depurazione dell’acqua a Istanbul. Anche Cementir, del gruppo Caltagirone, ha da 20 anni interessi in Turchia e in questo lasso di tempo, oltre a quotarsi alla Borsa di Istanbul, ha anche investito più di 500 milioni per rafforzare la sua presenza sul territorio. In questo quadro, quindi, pare abbastanza improbabile che affari di tale portata possano essere messi in discussione per qualche “piccola” tensione tra Erdogan e Draghi. Semplicemente, non converrebbe a nessuno.