Un altro naturalizzato per la Nazionale italiana. Tocca a Mateo Retegui, classe 1999, centravanti argentino che milita nel Tigre, massimo campionato del suo Paese.
Retegui e la “caccia all’italianizzabile”
Col suo arruolamento in azzurro si fa un passo oltre. Perché sarà anche vero che da quando nel 2003 è ricominciato il valzer degli oriundi, con la convocazione di Mauro German Camoranesi che tre anni dopo si sarebbe laureato campione del mondo in Germania, siamo arrivati a quota 15 nel giro di 20 anni (più un 16esimo, Romulo, che non arrivò a esordire in azzurro a causa di un infortunio). Ma è altrettanto vero che non era ancora successo di andarsi a prendere all’estero un neo-italiano. I precedenti 14 neo-oriundi, infatti, sono accomunati dall’essere calciatori nati in un altro Paese (Argentina o Brasile), ma passati dalla Serie A e dunque integrati nel calcio italiano. Stavolta è diverso. Perché Retegui sarà anche italiano per ius sanguinis grazie a un nonno materno originario di Canicattì (provincia di Agrigento), ma fin qui col calcio italiano non aveva avuto alcun contatto. Il che significa, da parte della Federcalcio e del suo commissario tecnico, aver oltrepassato un’ulteriore soglia nelle politiche di reclutamento. E che ormai i cercatori di talento federali sono stati sguinzagliati oltreconfine pur di sopperire alla grave crisi del nostro sistema formativo. Se ne prende atto e ci si predispone a registrare battute sempre più serrate di “caccia all’italianizzabile”. Termine che suona orrendo, ma che al tempo stesso non viene nemmeno segnato in rosso dal programma di videoscrittura. E se è lecita la parola per il guardiano della nostra ortografia digitale, figurarsi se non lo è l’atto per un movimento calcistico nazionale che, in termini di produzione del talento, è sempre più alla canna del gas.

La crisi del sistema formativo italiano
Ma in ultima analisi tutto ciò è un bene o è un male? Rispondiamo che il dilemma è mal posto, persino a rischio di essere fuori dal tempo. È certamente un cattivo segnale per la salute del nostro movimento, questo sì. E non soltanto perché si è costretti a mettersi in cerca di italianizzabili, ovunque si trovino. Ma anche perché, rovesciando i termini della questione, non accade il contrario come invece avviene in altri movimenti calcistici europei che dovrebbero essere il nostro termine di paragone. Prendiamo come esempio la Germania, dove nei giorni scorsi il tecnico della nazionale Under 21, Antonio di Salvo (a proposito, vogliamo andare a prenderci anche lui?) ha lanciato l’allarme sui giovani tedeschi che potrebbero essere selezionati dalle nazionali di casa ma preferiscono rispondere alla convocazione delle rappresentative di cui sono nativi i genitori. E dunque c’è chi vede nel reclutamento un mezzo e chi una minaccia, e la differenza è nello stato di salute del sistema formativo. Il nostro, almeno in questa fase, arranca parecchio. Sicché, largo ai Retegui. E senza dimenticare che in passato sono stati naturalizzati calciatori buoni (Camoranesi, Thiago Motta, Emerson Palmieri, Jorginho), discreti (Toloi, Eder), ma anche francamente improponibili per una Nazionale che ha fatto la storia del calcio (Osvaldo, Ledesma, Paletta). E sarà anche vero che ormai sono parecchie le nazionali propense a reclutare. Ma una tendenza così accentuata, e con punte così al ribasso (fatto salvo che Retegui possa diventare un altro Batistuta, come auspicato da Mancini), è da nazionale del Qatar, non da movimento calcistico quattro volte campione del mondo. Ci si deve davvero rassegnare a questo?