«In quanto europei e Paesi confinanti, per l’amicizia dei nostri popoli, con l’Italia dobbiamo proseguire il lavoro intrapreso. Farcela insieme, con dialogo e ambizione». Domenica 23 ottobre 2022, erano da poco passate le 21.30. Prima di concedersi una passeggiata dentro i vicoli di Trastevere a Roma, il presidente francese Emmanuel Macron affidò a Twitter l’unica dichiarazione ufficiale al termine dell’incontro con Giorgia Meloni. Il faccia a faccia nell’elegante Gran Hotel Melia si era appena chiuso con una stretta di mano e una foto dalla terrazza con vista Vaticano. I toni sembravano dialoganti e concilianti da entrambe le parti. Sette mesi dopo, il clima appare tutt’altro che sereno. Anche se da Oltralpe si cerca di gettare champagne sul fuoco.
Crisi diplomatiche tra migranti e guerra in Ucraina
Dai sorrisi si è passati in breve tempo alle crisi diplomatiche. La prima è capitata a novembre. L’Italia è tornata a chiudere i porti alle Ong cariche di migranti, la Francia si è arrabbiata e non poco. Poi a febbraio, quando Parigi ha escluso l’Italia dal vertice con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky all’Eliseo e la Meloni non ha nascosto il suo disappunto. Infine le recenti frasi, per nulla sibilline, contro la politica migratoria del governo italiano firmate prima dal ministro francese degli interni Gerald Darmanin e poi dal capo del partito di Macron, Stéphane Séjourné, hanno alzato ulteriormente la temperatura.

Macron e le frecciate contro la deriva degli «amici vicini»
Forse sarebbe bastato riavvolgere il nastro della storia per accorgersi che il sereno tra Italia e Francia non poteva durare a lungo. Non serve andare troppo indietro nel tempo: era il 21 giugno del 2018, da poche settimane un semi sconosciuto Giuseppe Conte guidava il cosiddetto governo gialloverde, quello formato da Movimento 5 stelle e Lega. Macron era in visita a Quimper, città bretone. A un certo punto le sue parole dal palco si infuocarono: «Li vedete crescere come una lebbra, un po’ ovunque in Europa, in Paesi in cui credevamo fosse impossibile vederli riapparire. I nostri amici vicini dicono le cose peggiori e noi ci abituiamo! Fanno le peggiori provocazioni e nessuno si scandalizza di questo». L’obiettivo era chiaro: l’Italia sovranista.
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E non era la prima volta che il capo dell’Eliseo usava parole dure contro il governo formatosi da poco. Pochi giorni prima infatti la sua frase contro «la politica del peggio» aveva fatto imbestialire soprattutto Matteo Salvini. Il motivo era sempre uno solo: Macron accostava l’aggettivo “peggio” alla politica dei “porti chiusi” ai migranti. Fu una crisi diplomatica vera, la più grave dal Dopoguerra a oggi.

La Libia e le accuse di voler destabilizzare l’area
Ma era solo l’inizio. In quei mesi, infatti, il governo gialloverde ingaggiò una battaglia dialettica con Parigi. A settembre 2018 fu la questione libica a riaccendere la miccia. Mentre la comunità internazionale monitorava con grande preoccupazione i tumulti di Tripoli, il governo italiano puntò il dito contro la Francia. Salvini accusava l’Eliseo di voler destabilizzare quell’area per ragioni economiche e l’allora presidente della Camera Roberto Fico si accodò: «Sulla Libia sono molto preoccupato», disse, «perché c’è una tensione enorme ed è un problema grave che ci ha lasciato senza dubbio la Francia».

I gendarmi francesi beccati a scaricare migranti al confine
Passò meno di un mese e Italia e Francia tornarono sul ring. E di mezzo finì, di nuovo, il tema migranti. Questa volta oggetto del contendere fu un video, pubblicato sui social da Salvini, nel quale si vedevano gendarmi francesi “scaricare” in territorio italiano alcuni profughi. Apriti cielo: il leader della Lega non perse occasione per attaccare e pubblicò su Twitter una foto di Macron con la scritta “vergogna”. I francesi parlarono di «incidente», appellandosi a una prassi nell’ambito di accordi internazionali.
Tav, Parigi ci ripensa? Le insinuazioni durano dal 2018
Non è stata però solo la questione immigrazione a infiammare i rapporti tra Parigi e Roma. Anche la Tav, la linea ferroviaria ad alta velocità che dovrebbe collegare Torino a Lione, è da sempre un campo minato. Se da una parte l’ex ministro delle Infrastrutture, il grillino Danilo Toninelli, a ottobre del 2018 si disse convinto che anche i francesi non volessero più l’opera, dall’altra la sua omologa transalpina Elisabeth Borne fece capire, senza tanti giri di parole, esattamente il contrario: «Il nostro governo vuole rispettare i trattati internazionali e non perdere i fondi destinati all’opera».

A rinfocolare la tensione ci hanno pensato le fresche indiscrezioni secondo cui la realizzazione della Tav potrebbe essere posticipata al 2043 per decisione di Parigi, che intenderebbe realizzare una delle tratte di accesso in Francia soltanto dopo l’entrata in funzione del tunnel del Moncenisio, tra la fine del 2032 e l’inizio del 2033. Manco a dirlo, Salvini – nel frattempo diventato ministro dei Trasporti – ha replicato piccato: «Al di là degli insulti, delle polemiche e delle provocazioni che registriamo con stupore, siamo preoccupati dalle titubanze francesi. Da loro ci aspettiamo chiarezza, serietà e rispetto degli accordi». Il suo omologo transalpino, Clément Beaune, ha provato a placare gli animi così: «Non è stata presa alcuna decisione, si tratta di un rapporto indipendente consegnato al governo». Sarà, ma intanto l’intesa rischia di deragliare prima ancora del completamento dei binari.
«Gillet gialli non mollate». Firmato: il ministro Di Maio
Tornando al 2019, era stato un altro l’argomento su cui si registro l’apice della fibrillazione. Il 7 gennaio 2019 Luigi Di Maio, allora vicepremier e ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro, scrisse su Facebook: «Gillet gialli non mollate». Il post aprì diversi interrogativi sull’opportunità, da parte di un membro di spicco del governo italiano, di sostenere la protesta, a tratti molto violenta, contro il governo Macron per il caro carburante. Inutile dire che la risposta di Parigi fu durissima: «Salvini e Di Maio imparino a fare pulizia a casa loro». Come se non bastasse, passarono poco più di due settimane e sempre l’ex ministro dei cinque stelle si scagliò di nuovo contro la Francia, colpevole a suo dire «di non aver mai smesso di colonizzare l’Africa e di averla impoverita». La tensione era altissima.

Facciamo pace: le missioni di Mattarella e Draghi
Per calmare le acque servì l’intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il 2 maggio del 2019 l’incontro tra il capo dello Stato e Macron ad Amboise, sulla Loira, nel luogo in cui Leonardo da Vinci morì 500 anni prima, servì a fare la pace. Due anni e mezzo dopo, era il 26 novembre del 2021, toccò a Mario Draghi stringere calorosamente la mano al presidente francese. L’occasione fu la firma dello storico trattato del Quirinale, intesa bilaterale Italia Francia. Oltra a fissare accordi politico-economici, sarebbe dovuto servire a rinsaldare e rinnovare l’amicizia con i cugini d’oltralpe. Sarebbe, appunto. Quel «farcela insieme, con dialogo e ambizione» twittato da Macron a Roma a ottobre 2022 appare ora piuttosto difficile da immaginare.
