All’apparenza sembrano normali gru di carico e scarico, proprio come quelle impiegate nei più importanti porti del mondo. Alte e asettiche, il loro compito consiste nel trasportare container dalle navi alle banchine portuali e viceversa. Nessuno, tranne gli addetti ai lavori, le aveva mai prese in considerazione. Almeno fino alla pubblicazione di un articolo preoccupante. Il Wall Street Journal ha infatti acceso i riflettori su un possibile allarme spionaggio legato ad un particolare tipo di gru portuali. Quelle realizzate dal produttore cinese Zpmc (nome completo Shanghai Zhenhua Heavy Industries Co.) sono state paragonate a un cavallo di Troia attraverso cui la Cina raccoglierebbe informazioni riservate all’interno di Paesi terzi, Stati Uniti compresi. Alcuni funzionari statunitensi e del Pentagono ritengono che le gru ship-to-shore di Zpmc conterrebbero sensori in grado di registrare e tracciare la provenienza e la destinazione dei container spostati. E, di conseguenza, di trasmettere a Pechino informazioni sui materiali spediti.
Accesso al flusso di merci strategiche
Non solo: i suddetti apparecchi potrebbero anche fornire un accesso remoto a qualcuno desideroso di interrompere il flusso di merci strategiche in un dato Paese. Le accuse rivolte contro la Cina sono pesantissime, ma gli stessi funzionari Usa che hanno lanciato l’allarme non hanno fin qui fornito dettagli su casi specifici di gru made in China usate per fini nefasti. Certo è che l’indiscrezione non può passare sotto traccia. Anche perché i numeri di Zpmc sono imponenti, visto che la società produrrebbe circa l’80 per cento delle gru ship-to-shore in uso nei porti statunitensi, e che la stessa azienda afferma di controllare circa il 70 per cento del mercato globale delle gru, nonché di aver venduto le sue attrezzature in più di 100 Paesi. È qui che entrano in gioco anche Europa e Italia.

Grandi gru cinesi approdate in Italia
Zpmc – di proprietà del colosso China Communications Construction Company (Cccc), attore protagonista di svariati progetti della Belt and Road Initiative (Bri) cinese – è presente in Europa mediante la sua sussidiaria Zpmc Europe. Per quanto riguarda l’Italia, l’azienda cinese opera attraverso Zpmc Italia, con sede a Vado Ligure, Savona. Un mese fa, tre grandi gru Zpmc acquistate da Msc e provenienti dalla Cina, dal porto di Yangshan, sono approdate nello scalo calabrese di Gioia Tauro. Tra l’altro, una nota della port authority locale spiegava che, a causa della loro altezza, la nave che le trasportava ha dovuto circumnavigare l’Africa – anziché attraversare il canale di Suez – e che, una volta piazzate, sarebbero state tra le gru cavalletto più grandi al mondo.
Gli affari con la compagna statale Cosco
Andando indietro nel tempo, scopriamo che nel 2018 l’operatore portuale olandese Apm Terminals – che co-gestisce Vado Gateway, il terminal container deep-sea del porto di Vado Ligure – aveva ricevuto una prima fornitura di sei delle 21 gru completamente automatizzate da Zpmc. Le cronache dell’epoca scrivevano che la loro particolarità era data dal fatto che sarebbero state supervisionate in remoto da operatori specializzati, situati in una sala di controllo di un edificio destinato a ospitare il personale Apm Terminals, nello stesso porto di Vado. Un anno più tardi, la controllata italiana di Zpmc avrebbe iniziato a fornire mezzi, ma anche un servizio di assistenza tecnica costante, al terminal di Apm e a Cosco, una compagnia di Stato cinese che fornisce servizi di spedizioni e di logistica e che controlla il 40 per cento del porto ligure. Arriviamo così al 2021, quando Apm e Zpmc annunciano la firma di un Memorandum of understanding espressamente concepito per «cambiare il processo di acquisto di attrezzature e mezzi», trasformandolo in «una collaborazione più stretta e strategica» con il fine ultimo di «dedicare la massima attenzione possibile allo sviluppo dell’automazione».

Noi siamo gli unici nel G7 ad avere certi accordi
Se il presunto rischio dello spionaggio cinese è il primo dossier caldo, con profonde ripercussioni anche per l’Italia, il secondo riguarda le infrastrutture. Il governo italiano è l’unico tra i Paesi membri del G7 ad aver sottoscritto con Pechino un Memorandum of understanding sulla Via della Seta. Questa intesa – che si rinnoverà automaticamente nel 2024, a meno che l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni non faccia un passo indietro – ha sostanzialmente consentito alle due parti di stringere molteplici accordi economici in più ambiti. Inclusi quelli più strategici, incluse le infrastrutture. Un simile contesto ha agevolato, per esempio, l’ingresso cinese nel porto di Taranto. Qui, nel 2019, durante il governo Conte I, Pechino ha ottenuto indirettamente la concessione demaniale di una delle aree più grandi dello scalo pugliese: la ex Belleli. Stiamo parlando di circa 220 mila metri quadrati finiti sotto il controllo del Ferretti Group, controllato per l’85 per cento dai cinesi di Weichai Group.
Gli occhi sull’ex Ilva di Cornigliano, a Genova
Tre anni prima, nel 2016, i cinesi sono entrati nel citato porto di Vado Ligure: Cosco ha messo sul tavolo 53 milioni di euro per il 40 per cento del sito mentre Qingdao, un’altra azienda statale cinese, 15,5 milioni per il 9,9 per cento. Il resto è appannaggio degli olandesi di Apm. In maniera indiretta, il Dragone controlla parzialmente anche il porto di Trieste, attraverso la solita Cosco, che controlla una quota di uno dei terminal dello scalo di Amburgo, che a sua volta detiene il 51 per cento di una delle piattaforme logistiche del porto friulano. In ottica futura, ha scritto Il Secolo XIX, i cinesi di Cosco avrebbero messo gli occhi sulle aree occupate dall’ex Ilva di Cornigliano, a Genova. Il gruppo, che dovrà fronteggiare la concorrenza di Msc e Gmt-Csm, non ha fin qui presentato un progetto dettagliato ma, in una lettera, ha scritto di essere interessato a quella zona, che si affaccia sul mare, «nell’ottica di un investimento presente e futuro sul territorio ligure, con importanti progetti quale la creazione di un autoparco, fondamentale sia dal punto di vista logistico, di sostenibilità cittadina e di occupazione».

Laboratorio Puglia: intesa fra due quotidiani
In Puglia i riflettori sono puntati sul porto di Taranto. Come spiegato, nello scalo pugliese, attraverso Ferretti Group, controllata da Weichai, la Cina ha ottenuto la concessione demaniale dell’area ex Belleli. Con la partecipazione nella Ocean Alliance, Cosco è invece attiva nel campo dei container e nella gestione dei terminal. La srl Progetto Internazionale 39, una società italo-cinese, ha infine ottenuto il semaforo verde per organizzare la gestione della piattaforma logistica del porto. L’Authority, ha ricordato Il Quotidiano di Puglia, aveva messo sul mercato l’area dopo che era venuto meno il project financing con Taranto Logistica. Progetto Internazionale 39 si era così candidata a usufruire delle agevolazioni della cosiddetta Zona economica speciale ionica (Zes) – nella quale ricade proprio la piattaforma del porto di Taranto – riuscendo a ottenere il via libera. La sua proposta è stata recentemente ritenuta «maggiormente idonea a proseguire l’iter istruttorio per il rilascio dell’autorizzazione unica Zes». La Zes in questione fu inaugurata nel 2015 dall’allora ministro dei Trasporti Graziano Delrio. Non è mai entrata in attività. Ora la società italo-cinese si impegnerà a svolgere «un’attività di servizio alle merci utilizzando l’intermodalità», ha evidenziato il quotidiano pugliese in riferimento alla connessione tra trasporto ferroviario, stradale e marittimo. Nello specifico, Progetto Internazionale 39 si occuperà di «movimentazione e stoccaggio di merci e container», come indicato nella richiesta iniziale.
Nel mirino l’arsenale della Marina militare
Se, da un lato, gli investimenti della Cina nelle infrastrutture italiane dismesse sono accolte a braccia aperte dagli amministratori locali, ben felici che qualcuno possa rianimare aree depresse e abbandonate dallo Stato, dall’altro emergono preoccupazioni per la presenza di attori cinesi in seno a progetti strategici. Il vento dello spionaggio, seppur fin qui mai provato in simili contesti, soffia forte dagli Stati Uniti e arriva sul territorio italiano. C’è chi fa notare, per esempio, come il porto di Taranto si presti a essere una roccaforte ideale per prendere di mira l’arsenale militare marittimo della Marina italiana, che funge da postazione meridionale per la Nato. Sempre in Puglia, c’è da segnalare la firma di un protocollo d’intesa tra La Gazzetta del Mezzogiorno e il Guangzhou Daily, la più importante testata giornalistica della città cinese di Guangzhou. Un protocollo, tra l’altro, promosso nell’ambito del gemellaggio istituzionale siglato nel 1986 tra Bari e la stessa Guangzhou, la più grande città costiera del Sud della Cina, capoluogo della provincia del Guangdong.
Gli Istituti Confucio sono solo centri di propaganda?
Secondo il giornale italiano, «la cooperazione tra le due testate riguarda in particolare la pubblicazione di articoli e redazionali su aspetti culturali, turistici e di costume delle due città, con l’obiettivo di far conoscere ai cittadini di Bari e Guangzhou il patrimonio storico, paesaggistico, culturale, artistico nonché le eccellenze in diverse settori delle proprie città per promuovere una maggiore conoscenza e comprensione reciproca favorendo allo stesso tempo gli scambi turistici ed economici». Vito Leccese, capo di gabinetto del sindaco di Bari Antonio Decaro, ha inoltre parlato di «una cornice più ampia di collaborazione istituzionale» tra le due città, nella quale «con il Politecnico di Bari e la South China University of Technology stiamo ora lavorando sulla possibilità di realizzare un Istituto Confucio a Bari». Gli Stati Uniti considerano gli Istituti Confucio centri di propaganda cinese, se non di spionaggio, in un’accusa tassativamente respinta dalla Cina. Ebbene, è in mezzo a questi due fuochi, Washington e Pechino, che l’Italia dovrà dimostrarsi tanto pragmatica da cogliere al volo le occasioni più interessanti quanto capace di evitare possibili trappole.