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Una repubblica affondata sul lavoro

Dalla Whirlpool di Napoli alla Gas Jeans di Vicenza, passando per marchi come Paluani, pasta Zara e Stige. La mappa delle aziende a rischio chiusura in Italia.

22 Novembre 2021 12:53 Stefano Iannaccone

L’eterno caso Whirlpool di Napoli, con il licenziamento di 320 lavoratori sul tavolo. Ma anche la ristrutturazione della catena di supermercati Carrefour, che prevede qualcosa come oltre 700 esuberi e la chiusura di vari punti vendita. E la questione SaGa Coffee di Gaggio Montano, nel Bolognese, che mette in bilico il futuro di 220 persone, di cui circa l’80 per cento di donne. Mentre la politica va in fibrillazione sulla Legge di Bilancio e ancora di più sull’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, il Paese reale è attraversato da una serie di crisi aziendali, che surriscaldano il clima sociale. Toccando da vicinissimo il tessuto del Nord-Est, cuore produttivo dell’Italia. Con il ministero dello Sviluppo economico, guidato da Giancarlo Giorgetti spesso in disaccordo con la sua vice grillina, Alessandra Todde, chiamato a intervenire per evitare un bagno di sangue.

La manifattura Riese di Carpi in Cig fino al 31 ottobre

Dietro alle storie più rumorose, ci sono decine di altre realtà produttive, che – messe insieme – coinvolgono migliaia di posti di lavoro. Un esempio? La manifattura Riese di Carpi (Modena), produttrice del marchio di abbigliamento Navigare, ha scongiurato il licenziamento di 82 dipendenti, come previsto inizialmente, solo grazie alla cassa integrazione. Almeno fino al 31 ottobre 2022, insomma, la situazione è congelata dagli ammortizzatori sociali. «Dopo mesi di dure trattative, con fasi di dialettica anche aspra, si è addivenuti ad un accordo che di certo non rilancia nell’immediato un’azienda detentrice di un marchio storico, ma salvaguarda i 58 dipendenti ancora in forza all’azienda», hanno fatto sapere le sigle sindacali. Sempre a Carpi, la Migor, storico brand di produzione delle camicie (fondato nel 1931), sta pagando dazio alla pandemia, che ha peggiorato un quadro instabile: 36 lavoratori scrutano con preoccupazione il futuro, nonostante l’impegno di sindacati e istituzioni che stanno cercando una soluzione.

Nel Vicentino a rischio Gas Jeans e  Forall Pal Zileri

Più a nord, in Veneto, le acque sono molto agitate per l’Abb, società del settore della plastica con sede a Marostica (Vicenza), dove sono in ballo almeno un centinaio di posto, tra diretti e indiretti. La decisione di chiudere lo stabilimento «è maturata a causa della mancanza di competitività delle produzioni ivi realizzate che non sono più ritenute sostenibili», riferisce un comunicato del Mise. Sempre nel Vicentino, un altro marchio di abbigliamento, la Gas Jeans di Chiuppano, vede avvicinarsi lo spettro della distruzione di 200 posti di lavoro. Negli ultimi giorni si stanno manifestando possibili acquirenti e c’è un pizzico di ottimismo su una possibile svolta. Nella stessa area provincia, e sempre nell’ambito della moda, resta incerto il futuro di Forall Pal Zileri, con 200 dipendenti che attendono risposte. E non da oggi.

Paluani potrebbe chiudere nell’anno del suo centenario

Anche la Paluani, nota produttrice di dolci, sta vivendo una situazione difficile, proprio mentre celebra i suoi cento anni di vita. Si teme che potrebbe essere l’ultimo Natale in cui i pandori Paluani saranno sulle tavole degli italiani. I lavoratori assunti stabilmente sono una settantina, a cui si aggiungono, durante le festività, almeno 500 stagionali. Il Tribunale di Verona ha accolto l’istanza di concordato preventivo. Si vedrà. Del resto gli appassionati di sport erano consapevoli delle difficoltà del proprietario, Luca Campedelli, che in estate ha vissuto il fallimento del Chievo, ex favola del calcio italiano. L’auspicio è che Paluani possa ricalcare le orme della Melegatti, che anni addietro visse una storia simile, rialzandosi anche grazie a un cambio di proprietà e una mirata campagna di comunicazione.

In liquidazione la Stige di Torino

Non saranno festività serene nemmeno per gli 81 dipendenti dello stabilimento di Rovato, a Brescia, in cui si produce la pasta Zara. La notizia non è stata certo un fulmine a ciel sereno, i problemi erano emersi da tempo. I bilanci si sono infatti appesantiti negli ultimi due anni e l’aumento dei prezzi delle materie prime, come il grano, ha favorito la decisione di chiudere la sede. Si spera che a Rovato qualche altro marchio rilevi lo stabilimento. L’azienda, tuttavia, resterà attiva a Riese Pio X, in provincia di Treviso. A Torino, invece, la Società torinese industrie grafiche editoriali (Stige) è stata messa in liquidazione, facendo traballare ottanta posti di lavoro. L’azienda fa il conto con il calo della stampa di volantini pubblicitari da parte della grande distribuzione, che per decenni è stata fonte di fondamentali introiti. Oggi, con i banner che circolano sul web e principalmente sui social, la Stige non riesce a far quadrare i conti.

Alla Vetrya di Orvieto licenziamenti collettivi

Più a Sud, in Umbria, c’è un altro scenario di crisi, come quello della Treofan di Terni, che produce film in polipropilene. «L’azienda ha mostrato disimpegno e non ha tenuto fede agli impegni presi nell’Accordo siglato tra le parti ad agosto con l’intermediazione del Mise», ha denunciato il ministero in una nota del 5 novembre. Un clima non proprio positivo. Nel frattempo si lavora al rinnovo della cassa integrazione, per individuare eventuali sbocchi garantiti da nuovi investitori. Dall’industria tradizionale a quella più innovativa, i timori sono gli stessi. A Orvieto preoccupa la situazione di Vetrya, società di innovazione tecnologica definita addirittura in passato la “Google italiana”. Al di là di paragoni impropri, oggi la società mette in bilico 137 lavoratori. Di sicuro è partita la procedura di licenziamento collettivo per 35 dipendenti. Una delle tante storie di crisi, che morde un Paese mediaticamente in altre faccende affaccendato.

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