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L’ultimo ruggito dell’Isis

A due anni dalla sconfitta ufficiale, lo Stato islamico continua a muoversi attraverso guerriglia e propaganda. In Siria e Iraq prosegue l’attività di reclutamento, mentre in Africa si intensifica l’azione dei terroristi.

5 Giugno 2021 15:4621 Giugno 2021 10:05 Daniele Curci

A due anni dalla sconfitta ufficiale, lo Stato islamico rimane una minaccia. Cellule dormienti e azioni di guerriglia persistono nel territorio siriano e iracheno, mentre nei campi di detenzione di Al – Hol e Roy, in Siria, migliaia di bambini e adolescenti, insieme alle loro madri, sono lasciati nelle mani di jihadisti che sperano di farne nuovi guerriglieri.

Le basi dell’Isis

I guerriglieri Isis si trovano nelle aree nord-occidentali dell’Iraq e al confine con la Siria. Qui il califfato è presente principalmente nelle zone desertiche centrali e orientali della regione di Al – Badia,  dove gli jihadisti possiedono ancora una buona forza militare, oltre alla capacità di progettare azioni terroristiche e di guerriglia. Negli ultimi mesi, l’Isis ha intensificato gli attacchi intorno a Kirkuk, Salahuddin e Diyala in Iraq. In Siria, oltre alle azioni di guerriglia, i miliziani sembra stiano progettando degli attacchi alle prigioni per liberare i molti jihadisti che vi sono detenuti. Un’azione simile ha avuto luogo nell’estate del 2020 in Afghanistan, quando venne assaltato il carcere di Jalalabad. Ed è sempre in Siria che si trovano i campi di detenzione di Al–Hol e Roy in cui si sono imprigionate circa 60.000 persone, la maggior parte iracheni e siriani.

All’interno del campo di Al Hol (Getty)

Controllare l’interno dei campi è difficile. E proprio tra le tende si nascondono gli irriducibili del califfato: guerriglieri così fedeli all’Isis da non accettare né la sconfitta né la detenzione. Tanto che hanno replicato la struttura dell’allora Stato islamico, comprese le corti religiose, all’interno del campo di Al – Hol, il più grande. Lì si aggirano, addirittura, delle unità di polizia religiosa, la hisba, e degli squadroni femminili incaricati di cercare e punire i kuffar, miscredenti, ricorrendo a esecuzioni, percosse e incendi delle tende.

Nei campi anche l’emergenza Covid

La situazione all’interno dei due campi è aggravata dall’emergenza umanitaria in corso, dovuta anche all’elevata diffusione del Covid. La pandemia ha provocato diversi morti, molti dei quali bambini. In un quadro simile, si inserisce la condizione delle donne, spesso vendute, violentate, costrette al matrimonio e alla servitù domestica. Non va meglio ai figli adolescenti dei miliziani, per i quali il margine di scelta è ridotto a zero. Ragazzi e ragazze sono esposti ad un elevato rischio di radicalizzazione e diversi sono i figli di foreign fighters europei. Le organizzazioni umanitarie, dal canto loro, di frequente lasciano indietro gli adolescenti, preferendo dare priorità all’accoglienza dei più piccoli. Per dare un’idea, si stima che nei campi siano detenute più di 200 donne e 650 bambini di nazionalità europea.

Il campo di Al-Hol (Getty)

La paura di attacchi Isis in Europa

Dal canto loro, i Paesi europei, timorosi che queste persone una volta rimpatriate possano compiere degli attacchi terroristici, sostengono di non avere degli obblighi legali nei confronti di chi aderisce all’Isis, rinviando la questione ai tribunali iracheni e siriani. Un rimpallo di responsabilità pericoloso, specie sul lungo periodo. L’atteggiamento europeo può essere strumentalizzato dagli estremisti per la propaganda e l’assenza di controlli stretti, unita al risentimento dei detenuti per il disinteresse dei loro Paesi d’origine, facilita l’unione ai gruppi terroristici.

L’Africa, la nuova frontiera

Il discorso si estende a bambini e adolescenti, sottoposti all’autorità principale (se non unica) degli irriducibili del califfato. È in questo contesto, che si trovano le forze per ingrossare le fila dell’Isis in Siria e Iraq, ma anche in Africa. Il continente è la nuova frontiera dello jihadismo. Grazie ad alleanze con gruppi militanti locali che hanno garantito reclute, finanziamenti e visibilità, lo Stato islamico è riuscito ad attecchire. A tal proposito, nel corso del 2020 le violenze ad opera dei gruppi fondamentalisti nel continente si stima che siano aumentate del 43%, se rapportate ai dodici mesi precedenti, arrivando così a toccare zone che fino a poco tempo prima non erano interessate dalle infiltrazioni jihadiste. L’attacco a marzo alla città di Palma, in Mozambico, ne è un esempio lampante.

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