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Good Morning, Afghanistan

Area di Servizio

L’intelligence pakistana non solo ha finanziato i talebani sin dai tempi dell’occupazione sovietica, ma è sempre stata ambigua nei rapporti tra mujaheddin e Usa. E ora gli 007 di Islamabad sono i padroni a Kabul e dintorni.

7 Settembre 2021 14:547 Settembre 2021 14:55 Nicolò Delvecchio
I servizi segreti pakistani dell'Isi finanziano da sempre i talebani, e hanno un ruolo fondamentale nella ricostruzione dell'Afghanistan.

Il periodo più movimentato è passato, le truppe americane sono fuori dal Paese e la battaglia nel Panshir sembra vicina alla conclusione (i talebani affermano di aver già riconquistato la regione dissidente, i ribelli negano). L’Afghanistan del futuro sembra sempre più in via di definizione, e per quanto non ci siano ancora tracce del nuovo governo, i talebani continuano a lavorare per dare stabilità all’Emirato islamico. Nell’ombra, lontano da telecamere e post sui social, il vero protagonista dell’ennesimo rovesciamento nel Paese dei pashtun è stato l’Isi (Inter-Services Intelligence), la potentissima intelligence del Pakistan. Ambigui, doppiogiochisti, tentacolari, gli 007 di Islamabad sono considerati “uno Stato nello Stato” e, sin dall’inizio, hanno finanziato e ospitato (per alcuni, “creato”) i taliban.

Non è un caso che nelle ultime ore il direttore generale dell’agenzia, Faiz Hameed, sia stato fotografato a Kabul. Secondo alcune ricostruzioni, sarebbe volato nella capitale afghana per mediare i dissidi tra il mullah Baradar, capo politico dei talebani, e il gruppo Haqqani, rete terroristica che opera tra i due Paesi molto influente tra le milizie dell’Emirato. La presenza di Hameed, unita al rinvio dell’annuncio della formazione del governo, avrebbe sottolineato ancora una volta la dipendenza dei talebani dal Pakistan. Non una novità, anzi. Islamabad è partner dei mujaheddin sin dai tempi dell’occupazione sovietica, ed è rimasta a loro fianco anche durante quella americana. Considerando che, negli ultimi 20 anni, i contatti con la Cia siano rimasti sempre molto attivi – anche più del dovuto, come si è poi scoperto – non è difficile considerare il Pakistan il vero vincitore del conflitto in Afghanistan. Ecco perché.

Pakistani ISI Chief Faiz Hameed just arrived in Kabul Serena Hotel. Told me he was here to meet Pakistani Ambassador – wouldn’t say he was meeting Taliban leadership (but he must be of course!) pic.twitter.com/afhfpNqzw8

— Lindsey Hilsum (@lindseyhilsum) September 4, 2021

Gli Afghanistan Papers e il doppio gioco dell’Isi

A svelare il doppio gioco dell’Isi nei rapporti tra talebani e Stati Uniti ci ha pensato l’inchiesta del Washington Post del 2019 sugli Afghanistan Papers, che svelò gli errori politici e strategici delle tre amministrazioni (Bush, Obama, Trump) impegnate nella guerra in Afghanistan. Una parte dell’indagine, condotta dal giornalista Craig Whitlock che ha ottenuto oltre 2 mila pagine di documenti, è dedicata proprio al ruolo del Pakistan nella vicenda: da un lato, il Paese offriva agli Stati Uniti aiuto logistico e l’uso dello spazio aereo, dall’altro continuava a sostenere i talebani. In un’intervista, lo stesso Whitlock ha spiegato quanto il sostegno del Pakistan fosse importante, ma anche uno dei motivi per cui la guerra in Afghanistan è stata la più lunga della storia degli Stati Uniti: «Ci sono voluti diversi anni all’amministrazione Bush per rendersi veramente conto che Islamabad da un lato combatteva al-Qaeda, dall’altro prestava segretamente sostegno ai talebani. Ci è voluto un po’ per accettare il doppio gioco del Pakistan. Anche per Obama è stato difficile, perché il Paese serviva per le rotte di rifornimento delle truppe Usa in Afghanistan, per cui non si poteva usare troppo il pugno duro. Stessa cosa con Trump. Il problema, semmai, è stata la mancata strategia per affrontare questo problema».

Ai sospetti non è stato dato seguito, almeno nei primi anni di guerra. Nel 2010 WikiLeaks pubblicò dei documenti che mostravano già come gli americani non vedessero di buon occhio il partner pakistano, in particolar modo la sua intelligence: nonostante il miliardo di dollari all’anno versato a Islamabad per addestrare le truppe «per combattere il terrorismo», l’Isi avrebbe continuato ad aiutare i talebani nei loro attacchi contro i soldati americani. Un doppio gioco che è emerso con l’uccisione, il 2 maggio 2011, di Osama Bin Laden, l’uomo per cui partì l’offensiva in Afghanistan. Il leader di al-Qaeda si trovava ad Abbottabad, in Pakistan, e la circostanza che i servizi segreti locali non se ne fossero accorti (o avessero finto di non accorgersene) ha gettato luce sulle ombre dell’Isi. Il Paese ha sempre negato qualsiasi sostegno ai talebani e ai terroristi di al-Qaeda, ma l’aver ignorato la presenza sul suo suolo dell’uomo più ricercato al mondo ha allontanato sempre più Islamabad e Washington. Forse troppo tardi.

Despite the US providing more than 1bn USD to #Pakistan each year "for help in fighting terrorism", US documents "seem to link the ISI with major Afghan insurgent commanders and "accuse the agency of training suicide bombers" [ABC 2010] #Afghanistanhttps://t.co/cuYFGBKP9p pic.twitter.com/7DwDO6TmhL

— WikiLeaks (@wikileaks) September 7, 2021

L’Isi e il sostegno ai gruppi fondamentalisti islamici

La storia dell’organizzazione è strettamente legata sia all’Afghanistan che al sostegno, a vario titolo, ai gruppi fondamentalisti islamici. Il vero salto di qualità dell’Isi, infatti, avvenne nel periodo della Guerra Fredda, in particolare con l’invasione dell’Afghanistan da parte dell’Unione sovietica nel 1979. All’epoca, aiutata da Cia e Arabia Saudita, l’organizzazione finanziò e offrì sostegno logistico e militare ai vari gruppi di mujaheddin in lotta contro Mosca. Con la ritirata dell’Armata rossa, l’Isi puntò prima sulla formazione Hezbi-i Islam di Gulbuddin Hekmatyar, poi sui talebani del mullah Omar, che nel 1996 vinsero la guerra civile e instaurarono il primo Emirato, durato fino al 2001. Gran parte dei taliban si sono formati nelle scuole coraniche (madrase) presenti sul territorio pakistano e dall’Isi puntualmente foraggiate.

La versione che tra Isi e gruppi islamisti non ci sia mai stato questo rapporto di subordinazione è facilmente confutabile. Il 20 agosto 1998 gli americani bombardarono un campo di addestramento di al-Qaeda nella città afghana di Khowst, dove si pensava si trovasse Osama Bin Laden. Nel raid morirono 30 persone (ma non ovviamente il leader), tra cui cinque ufficiali dell’Isi. L’operazione portò alle proteste ufficiali del Pakistan. E non solo, perché negli Anni 90 pare ci fossero legami tra i servizi segreti pakistani e i mujaheddin bosniaci nell’ambito delle guerre balcaniche.

La nascita dell’Isi e il suo ruolo in Pakistan e all’estero

L’organizzazione nacque nel 1948, poco dopo la nascita del Pakistan come Stato indipendente dalla Gran Bretagna del 1947. Con il ritiro di Londra dall’India britannica si formarono due nazioni diverse, l’India e il Pakistan, quest’ultimo pensato nello specifico come uno Stato per i musulmani dell’area. La divisione dei territori però non seguì basi etniche, e migliaia di persone di fede islamica si ritrovarono a vivere in India come minoranza. Ne nacque un conflitto, la Prima guerra del Kashmir, che terminò con la divisione della regione tra le due nazioni. Ancora oggi, la zona è teatro di scontri tra Nuova Delhi e Islamabad, e in India i musulmani continuano a essere discriminati.

L’epilogo non felice del conflitto nel Kashmir spinse il giovane Stato pakistano a impiegare sempre più fondi nell’intelligence e a riorganizzarne la struttura. Col tempo, i servizi segreti hanno quindi acquistato sempre più influenza e potere, anche a dispetto delle indicazioni dell’esecutivo di turno, diventando il vero e proprio punto di equilibrio ed elemento di stabilizzazione in Pakistan. Monitorano l’opposizione e il dissenso interno, controllano importanti infrastrutture (dal porto di Gwadar alle centrali nucleari) e determinano la politica estera pakistana con atti mirati. Il sostegno ai talebani è solo una delle sue attività, mentre una delle più importanti consiste anche nella destabilizzazione del Kashmir, che puntualmente torna ad accendersi e a provocare scontri, diplomatici e no, con i vicini indiani.

L’Isi avrebbe giocato un ruolo fondamentale anche negli accordi di Doha, con cui Usa e talebani hanno concordato il processo di “pace” e di uscita degli Usa dall’Afghanistan. La “linea” delle milizie sarebbe stata dettata direttamente dall’intelligence di Islamabad con Amir Khan Mottaqui – considerato uomo vicino all’Isi – come leader di riferimento. Mottaqui, tra l’altro, ha trattato (inutilmente) per i talebani un cessate il fuoco con la resistenza del Panshir, per cui anche nella politica taliban nei confronti degli ultimi ribelli ci sarebbe la mano di Islamabad.

Controllare di fatto l’Afghanistan serve al Pakistan per aumentare la propria influenza nella regione, ed esercitare un potere che altrimenti sarebbe notevolmente ridotto. Sullo Stato dei pashtun c’è l’attenzione di due potenze come Russia e Cina, che potrebbero sfruttarne le debolezze per interessi economici (Mosca per espandere nuovamente la sua influenza ai territori ex sovietici, Pechino per avere terreno fertile in investimenti infrastrutturali e prestiti). Ma anche l’Iran ha gli occhi ben aperti, perché legarsi ai talebani potrebbe fornire un alleato nell’islam sunnita che Teheran non ha. Lì invece prima di tutti ci è arrivato il Pakistan, che al momento sembra l’unico vero vincitore di questa lotta di potere.

Tag:afghanistan
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