Una fitta coltre di polvere arancione e un’atmosfera da film di fantascienza. Sono giorni decisamente particolari per l’Iraq che da domenica 1 maggio si è trovato a fare i conti con l’ultima delle violente tempeste di sabbia che, da aprile, sembrano essere diventate un fenomeno sempre più frequente.
Le conseguenze della tempesta di polvere in Iraq
Depositandosi in massicce quantità sui veicoli e nelle strade, i frammenti hanno costretto i cittadini di Baghdad e delle zone vicine a rimanere chiusi in casa per tutelarsi. Tuttavia, nonostante le misure di sicurezza e i protocolli adottati dall’amministrazione, le ripercussioni non sono state poche: nelle aree centrali e nella parte più occidentale, decine di residenti sono stati ricoverati in ospedale per problemi respiratori e altrettanto numerosi sono stati i voli di linea rimandati per scarsa visibilità negli aeroporti della capitale, di Arbil e della città santa di Najaf.

Misura che, quasi sicuramente, continuerà a rimanere in vigore anche nella giornata di lunedì. Per quanto riguarda, invece, le degenze, dei 63 pazienti accolti a Najaf nelle ultime ore, la maggior parte è stata dimessa, una volta ultimati i trattamenti utili a scongiurare il peggioramento delle crisi respiratorie. Mentre, nella provincia di Ambar, sono state registrate più o meno 30 ospedalizzazioni.

Tra disastri futuri e soluzioni salvagente
Da cosa sarebbe stata provocata quest’insolita bufera? Secondo il meteorologo Amer al-Jabri, il fenomeno non sarebbe altro che una conseguenza diretta di tre fattori che, da anni, mettono in ginocchio l’Iraq: «Siccità in aumento, grave desertificazione e un preoccupante calo delle precipitazioni». Uno scenario legato alla particolare vulnerabilità del Paese agli effetti della crisi climatica, tra piogge ormai diventate quasi inesistenti e temperature da record che hanno portato a ondate di calore decisamente anomale. Tutti elementi che, al di là dei rischi arrecati all’ambiente, rappresentano anche una minaccia per la stabilità sociale ed economica di uno Stato segnato dalla guerra e con un futuro che, a guardare i dati, non pare essere così roseo.

A novembre, infatti, la Banca Mondiale ha messo in guardia il governo sulla possibilità che la popolazione, entro il 2050, possa trovarsi a gestire un calo delle risorse idriche pari al 20 per cento proprio a causa del cambiamento climatico. E, sul fronte tempeste di sabbia, la situazione sembra ancora meno rassicurante: qualche mese fa, infatti, Issa al-Fayad, funzionario del ministero dell’Ambiente, avrebbe fatto accenno alla possibilità che l’Iraq potrebbe trovarsi ad affrontare, nei prossimi decenni, «272 giorni di tempeste di polvere all’anno». Una prospettiva disastrosa a cui si potrebbe far fronte soltanto testando due soluzioni: «incrementare la vegetazione e mettere in piedi foreste che possano essere adoperate come frangivento».