A seguito dei disordini che si stanno verificando in Iraq, scoppiati dopo l’annuncio del ritiro della politica da parte di Muqtada al-Sadr, l’Iran ha deciso di chiudere le frontiere con il Paese. Il provvedimento è arrivato mentre milioni di musulmani sciiti, proprio in Iran, si stanno preparano ad andare in pellegrinaggio a Karbala, a sud di Baghdad, per la commemorazione dell’Arbain.

Baghdad, scontri armati nella green zone
Un alto funzionario medico iracheno, citato da al-Jazeera, ha parlato di almeno 30 morti e 700 feriti, compresi 110 agenti della sicurezza, mentre l’esercito ha riferito che quattro razzi sono stati lanciati nella green zone, l’area di Baghdad militarmente protetta che ospita vari edifici diplomatici e governativi: nella notte sono infuriati scontri armati tra una milizia fedele al religioso e le forze di sicurezza. La televisione di Stato iraniana, parlando di «disordini» e «coprifuoco» nella città irachene, ha esortato i cittadini a non tentare di recarsi in Iraq, aggiungendo che i pellegrini sciiti già nel Paese dovrebbero evitare ulteriori spostamenti. Contestualmente, Teheran ha annunciato la chiusura delle frontiere. Il Kuwait, che condivide 254 chilometri di confine con l’Iraq, ha esortato i suoi cittadini a lasciare il Paese, invitando chi aveva pianificato un viaggio a posticipare i piani. In risposta ai disordini in Iraq, oggi la compagnia aerea Emirates ha interrotto i voli per Baghdad.
Escalation delle tensioni dopo le dimissioni di al-Sadr
L’Iraq vive da quasi un anno una crisi politica che si è acuita nelle ultime settimane, quando una folla di sostenitori di Muqtada al-Sadr, leader del Movimento Sadrista (partito a cui appartengono 32 parlamentari dell’attuale legislatura) e dell’Esercito del Mahdi (milizia fondata nel 2003 per combattere le forze di occupazione), si è accampata fuori dal Parlamento per chiedere elezioni anticipate. A fine luglio i manifestanti sciiti pro-al-Sadr avevano occupato il Parlamento per protestare contro la candidatura a primo ministro di Mohamed Shia Al-Sudani, voluto dal partito filo-Iran dell’ex premier Nuri al-Maliki. Ieri, dopo le dimissioni del leader sciita Muqtada al-Sadr, i manifestanti hanno violato l’ingresso del Palazzo Repubblicano, dove Saddam Hussein era solito ricevere i capi di Stato e dove ancora oggi si tengono le riunioni del governo, entrando poi al suo interno (con tanto di bagno in piscina). In risposta l’esercito ha annunciato un coprifuoco in tutta la città per impedire la circolazione di persone e veicoli e cercare di evitare scontri. Ma intanto la green zone era già finita nel caos.

L’escalation è nata, come detto, dalle dimissioni di Muqtada al-Sadr, che in un messaggio pubblicato sul suo sito web, ha annunciato il suo «non intervento in tutte le questioni politiche», affermando che «da questo momento in poi la rappresentanza politica del suo movimento, all’interno o all’esterno del Parlamento non sarà delegata ad alcuna organizzazione». Il 48enne leader ha inoltre annunciato la chiusura di tutti gli uffici del Movimento Sadrista, con l’eccezione di alcune attività benefiche. Secondo diversi analisti, l’addio sarebbe solo di facciata: una mossa per ottenere maggiore leva contro i suoi oppositori. Alle elezioni del 10 ottobre 2021, caratterizzate da un’altissima astensione (ha votato il 41 per cento degli aventi diritto), il partito di al-Sadr è risultato il più votato: 73 i seggi in parlamento sui 329 complessivi, molto lontani dai 165 necessari per la maggioranza assoluta. Il risultato delle elezioni è stato tra l’altro ratificato dalla Corte suprema federale irachena solo il 27 dicembre, dopo oltre due mesi di contestazioni da parte delle fazioni politiche più sfavorite dal voto.
La paralisi politica irachena dura da quasi un anno
Ma da allora niente è cambiato e la paralisi politica continua in Iraq, dove il quadro è estremamente frammentato. Il Consiglio dei rappresentanti dovrebbe eleggere il nuovo presidente, il quale dovrà poi incaricare il gruppo maggioritario in parlamento di formare un nuovo governo. A quasi 10 mesi dal voto però è ancora in carica il premier Mustafa al-Kadhimi, tra l’altro obiettivo lo scorso 7 novembre di un attentato a Baghdad da cui è uscito miracolosamente indenne. Secondo la prassi giuridica in vigore in Iraq dal 2005, la nomina di un capo di Stato è riservata a un esponente della minoranza curda: possibile la rielezione dell’attuale presidente Barhim Saleh, sostenuto dal Puk. Per mesi al-Sadr, che vanta discendenze dirette dal profeta Maometto, ha insistito per avere un ruolo di spicco sia nella scelta del premier (sciita) sia nella nomina del capo di Stato (curdo). Ma in un Iraq dominato dalla spartizione di influenza iraniana e statunitense, dove le negoziazioni sono infinite e senza apparente via d’uscita, nessuno ha sostenuto la sua formula: da qui la mobilitazione dei suoi seguaci.

Caos a Baghdad, sarebbero in corso negoziati
Come riporta al-Jazeera, sarebbero in corso negoziati tra funzionari governativi, leader dei sadristi e i loro rivali del Quadro di coordinamento. Un appello al dialogo è stato intanto lanciato dal ministero degli Esteri russo, Sergei Lavrov: «Stiamo seguendo lo sviluppo degli eventi. Ovviamente, tutti devono calmarsi e avviare un dialogo costruttivo», ha affermato citato dall’agenzia di stampa Sputnik. «L’Italia esprime forte preoccupazione per i disordini in corso nella capitale irachena, che hanno anche causato vittime e feriti, e rivolge un appello alla moderazione a tutte le parti interessate affinché si ponga fine senza ritardo ad una pericolosa escalation. Il diritto di manifestare liberamente il proprio dissenso non può tradursi in violenza e scontri», si può leggere in una nota della Farnesina.

Leader sciita non allineato con l’Iran, in contrasto con la fazione che invece ha stretti legami con Teheran, al-Sadr ha intimato ai suoi supporter di lasciare la green zone, in un tentativo almeno apparente di placare i disordini: «Indipendentemente da chi ha iniziato, gli scontri devono cessare».
Frontiere chiuse mentre si avvicina la celebrazione dell’Arbain
L’escalation delle violenze e la successiva chiusura delle frontiere da parte dell’Iran si sono verificate quando mancano pochi giorni alle celebrazioni dell’Arbain, che nel 2022 cadono dalla sera del 16 settembre a quella del giorno successivo. Arbain in arabo significa “40”. E infatti si celebra 40 giorni dopo la ricorrenza del massacro di Karbala del 680 quando Hussein ibn Ali, terzo imam e pretendente al titolo di Califfo, venne trucidato insieme a un centinaio di seguaci dall’armata inviata dal Califfo omayyade Yazid. Si tratta dell’evento fondante dello sciismo e ormai l’Arbain, pur non essendo uno dei cinque pilastri dell’Islam, ha assunto proporzioni tali da rivaleggiare con l’Hajj, cioè il pellegrinaggio alla Mecca che ogni musulmano dovrebbe compiere almeno una volta nella vita.