L’Iran ha giustiziato un uomo accusato di aver ferito un paramilitare dopo aver bloccato il traffico in un viale di Teheran, durante i disordini che da quasi tre mesi stanno scuotendo la Repubblica islamica. Si tratta della prima esecuzione legata alle manifestazioni. Altre 11 persone rischiano la stessa sorte.
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L’uomo è stato condannato alla pena capitale per “guerra contro Dio”
Mohsen Shekar era stato arrestato il 25 settembre. Secondo l’agenzia giudiziaria, il verdetto preliminare nei suoi confronti era stato emesso il 10 novembre dal Tribunale rivoluzionario di Teheran. L’appello è stato poi respinto dalla Corte suprema il 20 novembre, rendendo la sentenza esecutiva. L’uomo è stato condannato a morte con l’accusa di “moharebeh“, vocabolo in lingua farsi che significa “guerra contro Dio”. Secondo il tribunale, Shekar aveva bloccato una strada «con l’intento di creare terrore e uccidere» e «aveva ferito intenzionalmente», con un’arma da taglio, un membro della forza paramilitare dei Basij mentre era in servizio. Secondo la magistratura iraniana, l’imputato avrebbe confessato.
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Le autorità iraniane stanno reprimendo con violenza il movimento di protesta
«L’esecuzione di Mohsen deve incontrare una forte reazione altrimenti corriamo il rischio di aver esecuzioni di manifestanti ogni giorno, questa esecuzione deve portare rapidamente a conseguenze pratiche a livello internazionale»: è l’appello di Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore della ong Iran Human Rights, con sede ad Oslo. Le autorità iraniane stanno reprimendo con violenza il movimento di protesta, iniziato con le donne che manifestavano per maggiori libertà e il rispetto dei loro diritti umani e, ormai, arrivato a coinvolgere anche gli uomini: le manifestazioni sono dilagate fino a diventare una delle più serie sfide alla teocrazia iraniana dalla rivoluzione islamica del 1979. Secondo le organizzazioni per i diritti umani, le vittime della repressione da metà settembre sono oltre 400, di cui una sessantina minorenni.
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