Da Aurica a Pangea Ultima, tutte le ipotesi sul futuro ‘supercontinente’

Camilla Curcio
04/04/2022

Le masse continentali continuano a muoversi. Un team di geologi ha elaborato quattro scenari possibili.

Da Aurica a Pangea Ultima, tutte le ipotesi sul futuro ‘supercontinente’

Da quando, oltre 500 anni fa, il cartografo Gerardo Mercatore ha consegnato all’umanità una delle mappe del mondo più importanti nella storia della cartografia sono cambiate parecchie cose. Non si trattava del primo tentativo di atlante del globo e neppure della variante più accurata: mancava del tutto l’Australia e le Americhe erano un pallido schizzo. Tuttavia, nonostante gli errori, quel riferimento è diventato il punto di partenza per gli studiosi successivi che, correggendo emisferi e latitudini, hanno sempre tenuto presente il quadro delle masse continentali che era stato in grado di offrire. Peccato che quella prospettiva, così ancorata alle conoscenze limitate dell’epoca, non corrispondesse alla realtà: i sette continenti, infatti, erano rappresentati come immobili. Idea smentita, anni dopo, dalla teoria della tettonica a placche, fotografia dei loro movimenti e base della genesi ciclica dei supercontinenti. Prima la Pangea, poi Pannotia, Rodinia, Columbia/Nuna, Kenorland e Ur, ora quello coinvolto in un processo ancora in corso.

Le ipotesi dei geologi sull'aspetto del futuro supercontinente
Il modello originale creato da Mercatore (Twitter)

Alle origini di Aurica: la prima ipotesi del geologo Joao Duarte

Che sembianze avrà il futuro supercontinente? In che modo e a quale ritmo si riorganizzeranno le masse? Sono questi gli interrogativi su cui riflettono i geologi, impegnati a delineare le traiettorie possibili e a immaginare l’evoluzione del Pianeta che ospiterà gli esseri viventi, per alcuni molto più simile a una dimensione aliena. Per lo studioso Joao Duarte, nel 2016, la direzione da seguire partiva da un evento passato particolarmente insolito: un terremoto che, nel 1755, si era abbattuto sul Portogallo. Probabilmente il sisma più potente fino a quel momento, responsabile di oltre 60 mila decessi e di uno tsunami nell’Oceano Atlantico. Più che le dinamiche, a renderlo sospetto è stato il luogo in cui è avvenuto: «In genere, non si registrano fenomeni di questo tipo nell’area atlantica», ha spiegato Duarte alla Bbc, «è stato parecchio anomalo».

Le ipotesi dei geologi sull'aspetto del futuro supercontinente
Un’illustrazione dello tsunami (Twitter)

Secondo la letteratura scientifica, infatti, terremoti di questa scala si verificano nelle zone di subduzione o nei loro vicinanze perché è lì che le placche oceaniche penetrano al di sotto dei continenti e, disciolte, si disperdono nel mantello terrestre. Un meccanismo che contempla collisione e distruzione in frammenti. E invece l’episodio del 1755 ha interessato una zona abbastanza ‘passiva’, dove non è stato registrato alcun attrito. Ecco perché Duarte e il suo team hanno proposto una teoria: i margini delle placche dell’area potrebbe toccarsi causando una rottura, e una delle zone di subduzione si potrebbe estendere dal Mediterraneo lungo l’Africa occidentale e oltre Irlanda e Regno Unito, portando montagne, vulcani e terremoti in questi luoghi, Ma non finisce qui. Il fenomeno innescherebbe una chiusura dell’Atlantico e del Pacifico (cosa che, per il secondo, già sta avvenendo lungo l’Anello di Fuoco) e darebbe vita a un nuovo supercontinente, Aurica, con al centro le ex masse di Australia e America.

Tra Amasia, Novopangea e Pangea Ultima

Il geologo, ovviamente, non si è fermato unicamente a questo scenario. E, con la collaborazione dell’oceanografo della Bangor University Matthias Green e della geologa dell’Università di Lisbona Hannah Davies, esperta di modelli computazionali, ha elaborato altre tre opzioni, ciascuna proiettata tra 200-250 milioni di anni. Nella prima hanno provato a capire cosa potrebbe succedere se l’Atlantico restasse aperto e il Pacifico si chiudesse. In questo contesto, il supercontinente che si formerebbe si chiamerebbe Novopangea: «Si tratta del modello più semplice e realistico in base ai dati di cui disponiamo al momento», ha illustrato Davies.

Le ipotesi dei geologi sull'aspetto del futuro supercontinente
Le 4 ipotesi di supercontinente (Twitter)

Tuttavia, non si può escludere l’ipotesi che si verifichino eventi geologici che porterebbero a situazioni differenti. Come nel caso dell’ortoversione, che determinerebbe la chiusura dell’Oceano Artico con Pacifico e Atlantico aperti. Questo cambierebbe gli orientamenti dell’espansione tettonica, dunque sposterebbe i continenti verso Nord, tutti attorno al Polo, eccetto l’Antartide. Fino a formare l’Amasia. Infine, non è da escludere che l’ampliamento del fondale atlantico potrebbe rallentare o fermarsi del tutto. Se questo accadesse e si formasse una nuova zona di subduzione lungo la costa orientale delle Americhe, si otterrebbe Pangea Ultima, una sorta di enorme atollo.

Le ipotesi dei geologi sull'aspetto del futuro supercontinente
Il modello ‘Pangea Ultima’

Il legame tra i modelli del supercontinente e gli studi sul clima

Sulla traccia di questi quattro modelli digitali, i geologi possono testare tutte le loro congetture e provare a comprendere l’effetto della nascita di un supercontinente sul clima. Per questo, il trio ha deciso di coinvolgere nella squadra anche Michael Way, fisico del Nasa Goddard Institute for Space Studies che, per ogni scenario, ha immaginato un quadro differente. Amasia, per esempio, avrebbe una temperatura decisamente più fredda per la sua vicinanza al Polo Nord. Al contrario, Aurica, avrebbe un clima più mite e coste morfologicamente simili a quelle brasiliane.

«Quelli elaborati dai miei colleghi sono scenari speculativi e, con l’intervento degli imprevisti, potrebbero cambiare», ha concluso Davies, «non mi sorprenderebbe se, tra 250 milioni di anni, il supercontinente si allontanasse di parecchio da queste previsioni. Insomma, l’unica cosa certa è che un giorno, inaspettatamente, i continenti si riorganizzeranno, i paesi un tempo isolati saranno vicini e, se la Terra ospiterà ancora esseri umani, saranno in grado di spostarsi tra i resti di Pechino, Sydney e Londra senza mai attraversare un oceano».