Scomparso a 59 anni nel marzo del 2021 Claudio Coccoluto è stato senz’alcun dubbio, come una rockstar e anche di più. Oggi Baldini+Castoldi, a distanza di 15 anni dall’uscita, riporta in libreria Io, Dj, la sua autobiografia, scritta con il saggista e giornalista musicale Pierfrancesco Pacoda, probabilmente il libro italiano più completo sul mondo della notte e sulla scena dei club.
Coccoluto e l’evoluzione del dj
Coccoluto, come molti della sua generazione, ha iniziato a fare il dj quando ancora la professione non era ben definita. «Il dj era una figura marginale, stava nascosto in un angolo buio del locale», racconta nel libro. «Gli veniva richiesto soltanto di cambiare i dischi. Era un juke-box, sostituiva la macchina, offriva una sequenza di brani ai quali non aggiungeva la sua personalità». Erano gli Anni 70, quelli delle radio pirata, delle prime discoteche e il mood era molto diverso da quello di oggi con deejay popstar che suonano davanti a migliaia di persone e scalano le classifiche di vendita dei dischi. «Quello che Claudio Coccoluto ha lasciato alla musica non ha solo a che fare con la memoria, ma con la straordinaria vitalità di una ondata che ha abbattuto le barriere geografiche, portando l’Italia sulla delle culture sonore giovanili», scrive Pagoda nella prefazione del libro. Ed effettivamente il caso di Napoli, e della serata Angels of Love è sintomatico. Dopo gli anni all’Histeria di Roma, una sorta di Studio 54 capitolino, dove Coccoluto inizia a muovere i primi passi e si afferma come dj, Napoli diventa il centro del suo mondo. Il locale è il Cube, l’ispirazione è ancora newyorkese, anche se questa volta il modello è il Loft di Dave Mancuso, la serata si chiama Angels of Love. «Napoli all’epoca attraversava uno dei momenti più felici della sua storia recente. Erano gli anni di Maradona, dello scudetto e gli ultrà diventarono una parte importante del successo della serata. Le feste che organizzavamo più che eventi in discoteca sembravano concerti rock». Fu quello il momento, all’inizio degli Anni 90, in cui cambiò radicalmente il modo di intendere la discoteca, fino ad allora vissuta come un luogo frequentato da una parte più conservativa della borghesia. «Noi cercavamo posti che fossero l’esatto contrario. Andavamo nei Quartieri spagnoli, lontani dalle zone bene e dalle strade frequentate dalla Napoli che contava. Volevamo fare entrare i collisione realtà diverse e inconciliabili».

Dalla console alle conferenze di Confindustria
Da lì il passaggio verso le prime trasferte all’estero fu breve. Prima Londra e il mitico Ministry of Sound, forse la discoteca più famosa del mondo, e poi soprattutto Ibiza, dove al Pacha, un luogo dove le celebrità si mischiavano ai freak 60enni «e la dj era Jade Jagger, la figlia di Mick», fu istituita, creata da Coccoluto, la serata Made in Italy. «Made in Italy è stata un’esperienza importante, innovativa, non solo per la scelta dei dj, ma per l’animazione, l’uso delle scenografie, tutto un po’ sopra le righe ma sostenuto da un’estetica che veniva da una grande tradizione artistica. E un marchio che evocava i successi della moda, del design, del cinema italiani». Seguirono l’esperienza del Goa a Roma, le collaborazioni artistiche con Jovanotti, il programma su Radio Deejay, gli inviti alle conferenze di Confindustria, la giuria di Sanremo, gli incontri alla Luiss di Roma e la definitiva ascesa nell’Olimpo delle popstar. Sempre però senza perdere la propria identità e sempre continuando a utilizzare il vinile come supporto privilegiato per i propri set.
Un tuffo nella club culture Anni 90
Per chi volesse approfondire e comprendere a pieno l’impatto sociale della club culture negli Anni 90 segnaliamo altri due interessantissimi libri sul tema: Elettrochoch del dj francese Laurent Garnier e Club Confidential dell’italiano Lele Sacchi. Club Confidential in particolare è una sorta di manuale che spiega cosa erano i loft di New York dove nacque la house music e contemporaneamente racconta di un ragazzo di Pavia amante del punk e dell’indie che durante il classico inter-rail rimane folgorato da un dj set a Londra di Andrew Weatherall, produttore dei Primal Scream, e decide che nella vita voleva fare il dj. Su Rai Play inoltre, per chi non ne avesse abbastanza, si trova anche un interessantissimo documentario sulla scena romana delle discoteche degli Anni 80 diretto da Corrado Rizza intitolato Roma Caput Disco con testimonianze dei disc-jockey dell’epoca. Dentro ci sono tutti: da Marco Trani, allora uno dei pochi, forse l’unico, dj superstar, a Roberto D’Agostino. Da Renzo Arbore, considerato oggi il primo disc jockey italiano, fino a Fiorello o allo stesso Jovanotti che ha iniziato la sua carriera giovanissimo mettendo i dischi al celebre Veleno.