Quello italiano lo sappiamo a memoria, su quello francese ci abbiamo costruito una serie infinita di cori da stadio, quello inglese ci fa pensare immediatamente – e non potrebbe essere altrimenti – alla Regina. Gli inni sono un momento breve, ma intenso, delle partite delle Nazionali, tanto in amichevole quanto – soprattutto – nelle competizioni importanti. In questo Europeo li abbiamo sentiti tutti, da quello di Mameli, il primo in assoluto suonato nel torneo, a quello macedone, che a questi livelli non si era mai sentito. Ognuno ha una sua storia, il suo valore e il suo significato: ci sono eroi, regnanti illuminati, liberatori, ma anche paesaggi, animali e tradizioni. Per alcuni è rimasta la melodia di tempi antichi, ma sono cambiate le parole, altri sono stati sostituiti e poi restaurati. Ne abbiamo scelti cinque, ecco quali.
Spagna: l’inno muto
La Marcha Real (Marcia Reale), conosciuta anche come Marcha de Granaderos, è uno degli inni più antichi al mondo, infatti le prime testimonianze risalgono al 1761. Un elemento lo contraddistingue da tutti gli altri: non ha un testo. Ogni re di Spagna ne ha volta per volta cambiato le parole, e l’ultima modifica di rilievo fu fatta da Francisco Franco, che durante la dittatura ne affidò la scrittura a José María Pemán. Col ritorno della monarchia nel 1975 fu lasciata la melodia originale, senza però trovare mai le parole giuste. L’ultimo tentativo per adottare un testo ufficiale, nel 2008, fallì. Ecco perché giocatori e tifosi della Roja, durante la Marcia, o non cantano o scandiscono un “Pa pa pa” abbastanza curioso: perché non c’è nulla da intonare.
Repubblica Ceca e Slovacchia: l’inno diviso
Dal 1918 al 1992 è esistita la Cecoslovacchia, nazione che, nel calcio, si tolse la soddisfazione di vincere l’Europeo del 1976. Lo Stato aveva un inno bilingue, composto da una prima parte in ceco (Kde domov můj, dov’è la mia casa) e da una seconda la cui prima strofa era in slovacco (Nad Tatrou sa blýska, un fulmine sul Tatra). I due canti furono composti separatamente a metà 800, e il secondo raccontava della cacciata degli studenti slovacchi da Bratislava, a opera dei regnanti ungheresi (era il periodo dell’impero austro-ungarico). Con la divisione della Cecoslovacchia nel 1993, le due nazioni presero ciascuna il proprio inno: la Repubblica Ceca quello composto da Frantisek Skroup e Josef Kajetan Tyl, la Slovacchia quello di Janko Matuska. Calcisticamente, il punto più alto è stato raggiunto dalla nazionale ceca, che nel 1996 fece suonare Kde domov můj a Wembley, nella finale dell’Europeo d’Inghilterra persa contro la Germania.
Deutschland Uber Alles? Non più
Anche Il Canto dei Tedeschi è tra i più antichi d’Europa, ma ha avuto una storia particolarmente complessa: la melodia fu composta nel 1797 per Francesco II d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero. Il testo è invece del 1841, e fu scritto come un inno di speranza per l’unificazione della Germania, allora divisa in tanti Stati e costantemente minacciata dalla Francia. La prima strofa, la minacciosa Deutschland uber alles in der Welt (“La Germania al di sopra di tutto, nel mondo”), non nasce quindi per affermare la superiorità della nazione tedesca, ma è un invito a considerare l’unità del Paese come missione primaria per cui ogni cittadino dovrebbe lottare. Inutile dire come Hitler, al contrario, abbia usato la prima interpretazione del testo, rendendolo un simbolo di oppressione per i popoli europei. Nel 1952, dopo vari cambi, fu ripristinato l’inno imperiale ma a partire dalla terza strofa che cita i valori di unità, giustizia e libertà: curiosamente, non compare mai la parola “Germania”.
Russia, tradizione sovietica
Nel 2000 Vladimir Putin, diventato da poco presidente della Federazione Russa, decise di cambiare il Canto Patriottico per ripristinare la melodia in vigore dal 1943 al 1991. A convincere Putin furono le immagini delle Olimpiadi di Sydney, in cui gli atleti russi non cantavano l’inno perché non ne conoscevano le parole. Alla proposta seguì un lungo dibattito, tra chi preferiva l’inno dell’Armata bianca e chi, invece quello in vigore all’epoca dello Zar. Inutile dire come, alla fine, quella di Putin risultò l’idea vincente: fu così ripristinata la base voluta da Stalin (che scelse di sostituire l’Internazionale con un inno più patriottico) con un riadattamento del testo. Non c’è più L’Unione indivisibile delle Repubbliche, ma L’Unione eterna dei popoli; nessun riferimento a Lenin e al comunismo, ma sono citati Dio e la religione; scompare la proiezione del Paese verso il futuro in favore di una ripresa del passato. Questa versione, bisogna riconoscerlo, la conoscono tutti, come testimoniano le immagini qui sotto.
La Scozia e il suo fiore
La Scozia non ha un inno ufficiale, ma ne ha tanti ufficiosi. Il preferito dagli scozzesi è Flower of Scotland, usato soprattutto per gli eventi sportivi. Il testo celebra la Battaglia di Bannockburn del 1314, in cui l’armata di Roberto I sconfisse l’esercito reale di Edoardo II, rispedendolo al sud “per pensare nuovamente ai suoi errori” (“And send him homeward, to think again”). La circostanza che la Scozia non abbia un inno ufficiale ha causato in passato una situazione particolarmente imbarazzante: fino al 1980, infatti, prima delle partite delle nazionali scozzesi (di calcio, rugby o altro) veniva intonato God Save The Queen, l’inno inglese, puntualmente ricoperto dai fischi. La Corona, quindi, permise l’uso di altre canzoni per gli eventi sportivi: dal 1980 al 1993 fu usato Scotland The Brave, da quasi 30 anni tocca a Flower of Scotland. Un inno in cui si invitano gli scozzesi a rialzarsi, per ritornare il popolo che ha cacciato gli inglesi dal proprio territorio (“We can still rise now, and be the Nation again that stood against him, Proud Edward’s Army”). La versione migliore è questa, intonata ad Hampden Park prima di una partita contro l’Italia del 2007