Da giorni l’India è teatro di manifestazioni e proteste organizzate dalla comunità islamica contro il governo guidato da Narendra Modi. A scatenare la rabbia degli oltre 200 milioni di musulmani indiani sono state le affermazioni offensive nei riguardi del profeta Maometto pronunciate da due esponenti di spicco del partito nazionalista indù al potere, il Bharatiya Janata Party (BJP). Nel corso di un dibattito televisivo trasmesso dal canale Times Now lo scorso maggio, la portavoce del BJP Nupur Sharma ha insinuato che il profeta dell’Islam fosse sessualmente attratto dai bambini vista la giovane età della terza moglie Aisha. Pochi giorni dopo, il responsabile media del BJP Naveen Kumar Jindal con un post su Twitter, poi cancellato, ha ribadito il concetto. Non appena la notizia si è diffusa nel subcontinente sono scoppiate le proteste che hanno spinto il BJP a rimuovere i due esponenti e a dissociarsi dalle pesanti affermazioni. Le mosse del partito di Modi, tuttavia, sono state accolte con freddezza dalla minoranza musulmana che ha avviato una serie di mobilitazioni sfociate in feroci scontri con le forze di polizia. L’ondata di proteste ha investito con forza gli stati orientali come il Bengala occidentale, dove i manifestanti hanno dato fuoco a un ufficio del BJP, e il Jharkhand, in cui due giovani manifestanti sono stati uccisi dalla polizia.

La dura risposta del governo Modi
Il governo Modi ha risposto con durezza al dilagare delle proteste in tutto il Paese. Per giorni i servizi internet sono stati sospesi e il coprifuoco è stato imposto nei distretti di Ramban, Doda e Kishtwar in Jammu e Kashmir, unico Stato indiano a maggioranza musulmana dove le tensioni religiose hanno prodotto già 16 morti dall’inizio dell’anno. Mentre alcuni esponenti del BJP chiedevano l’intervento dell’esercito per sedare le rivolte, la mano dura del governo ha colpito anche l’Uttar Pradesh, stato che ospita circa 40 milioni di musulmani. Qui le autorità indiane, oltre ad arrestare circa 300 persone, hanno anche demolito le abitazioni di diverse famiglie musulmane giustificando l’operazione come semplice atto di contrasto dell’abusivismo. Ma gli abitanti delle case rase al suolo, alcuni dei quali noti attivisti islamici, sono anche stati accusati di aver organizzato e guidato le violenze di piazza. L’iniziativa è stata descritta come una vera e propria vendetta politica da Amnesty International che ha espresso ferma condanna anche per le detenzioni arbitrarie avvenute nelle ore seguenti alle manifestazioni che hanno infiammato il Paese.

La crisi diventa un caso diplomatico
Nei giorni successivi alle affermazioni ingiuriose nei confronti del profeta Maometto, i governi di Qatar, Iran e Kuwait hanno convocato i diplomatici indiani pretendendo scuse ufficiali. In breve, sono divenuti 15 i Paesi a maggioranza musulmana che hanno protestato pubblicamente. La stessa Organizzazione della cooperazione islamica, composta da 57 Stati, ha fermamente condannato quanto accaduto in India. Proteste contro il governo Modi sono state organizzate anche in Bangladesh, dove circa 100 mila persone hanno marciato per le vie della capitale Dhaka dopo la preghiera di venerdì 10 giugno, e in Indonesia, dove una folla rabbiosa si è radunata sotto l’ambasciata indiana a Jakarta. La dura reazione dei partner strategici mediorientali e della penisola arabica, da cui l’India dipende per l’import di petrolio, rischia di creare seri problemi a Delhi. Le tensioni hanno anche spinto il ministro degli esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian, presente in India nei giorni caldi delle proteste, a modificare il comunicato ufficiale della visita aggiungendo la condanna verso ogni manifestazione di odio religioso.

Il difficile rapporto tra BJP e musulmani
Le tensioni tra musulmani e BJP non sono una novità in India. Il partito di Modi, espressione del movimento nazionalista dell’Hindutva che teorizza l’omogeneità religiosa e quindi induista dello Stato, ha portato avanti negli anni politiche che hanno contribuito alla marginalizzazione della minoranza musulmana. Ancora oggi, circa un terzo dei musulmani indiani vive in condizioni di povertà e il tasso di analfabetismo è il più elevato tra tutti i gruppi religiosi. In questo contesto, iniziative come il Reorganisation Act del 2019, con il quale Modi ha revocato lo statuto speciale del Jammu e Kashmir abolendo i meccanismi di protezione dell’equilibrio demografico regionale, non hanno contribuito a migliorare la condizione della minoranza musulmana. Lo stesso dibattito politico in India è ormai ampiamente inquinato dalle crescenti tensioni religiose e le tribune politiche spesso si trasformano in palcoscenici per le provocazioni più feroci. Proprio nel corso di uno di questi programmi è scoppiata la recente crisi che rischia non solo di destabilizzare il Paese, già alle prese con la difficile situazione economica, ma anche di metterne in crisi i consolidati rapporti internazionali.