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L’impatto zero non esiste, come sbugiardare falsi miti sulla sostenibilità

Il libro di Ada Rosa Balzan “L’impatto zero non esiste” smentisce i luoghi comuni sui temi ambientali. Ricordando che ogni nostra azione, non solo quelle delle aziende, ha un effetto sul Pianeta. Ma non è vero che stare attenti all’aspetto green significhi per forza essere nemici del profitto.

9 Dicembre 2022 11:14 Redazione
L’impatto zero non esiste, come sbugiardare falsi miti sulla sostenibilità

In principio fu il rischio zero, la cui ricerca ossessiva ha portato ad anni di paternalismo, specie pubblico, in relazione non solo alle catastrofi naturali, ma anche alla gestione della pandemia Covid. Ora lo stesso concetto viene traslato in un altro ambito strategico, la sostenibilità, in un libro che sin dal titolo non lascia spazio a dubbi: L’impatto zero non esiste, edito da Este Edizioni. A compiere questa riuscita operazione concettuale è Ada Rosa Balzan, tra le maggiori esperte italiane di questi temi, docente in varie università e business school, fondatrice di Arb, società benefit per azioni specializzata proprio nella misurazione della sostenibilità. Balzan parte dall’assunto che a ogni nostra scelta corrisponde un impatto, non solo sull’ambiente, ma anche sulle persone, a partire dal gesto vitale del respirare, che consuma ossigeno e restituisce anidride carbonica, e che ha un inevitabile impatto sul Pianeta e sui suoi abitanti. Una premessa doverosa e al tempo stesso disarmante da cui l’autrice parte per analizzare tutti gli aspetti della sostenibilità, facendo chiarezza su alcuni falsi miti entrati nella nostra quotidianità in modo scorretto, come dimostrano i numerosi casi di greenwashing.

L’impatto zero non esiste, come sbugiardare falsi miti sulla sostenibilità
Il libro L’impatto zero non esiste.

Esempi virtuosi: Ferragamo, Carrera Jeans e Marmi Corradini

Invece la sostenibilità è una cosa seria, e come tutte le cose serie, è misurabile e rendicontabile. Per questo Balzan accompagna il lettore alla scoperta delle 4 C della sostenibilità – capire, costruire, concretizzare e comunicare – che sostanziano il metodo proposto ad aziende e organizzazioni per non perdere la duplice opportunità di accrescere il loro valore economico-finanziario, e migliorare concretamente le performance Esg (Environmental, social and governance). Eh sì, perché uno dei luoghi comuni spazzati via da questa lettura narra che la sostenibilità sia sempre a perdere, e che sia lontana anni luce dal profitto. Nulla di più errato, come dimostrano i percorsi virtuosi già intrapresi da importanti realtà italiane, dalla provincia autonoma di Trento ai casi imprenditoriali di Ferragamo, Carrera Jeans e Marmi Corradini, descritti nel libro come storie concrete da cui trarre ispirazione. Sostenibilità e profitto, invece, vanno a braccetto, perché il valore di un’azienda deriva anche da una buona gestione della governance, del rapporto con i dipendenti, della catena di fornitura, oltre che da efficaci strategie di mitigazione degli impatti ambientali.

L’impatto zero non esiste, come sbugiardare falsi miti sulla sostenibilità
Ada Rosa Balzan.

Aumentare la reputazione aziendale attrae nuovi talenti

Tutti parametri appartenenti ai criteri Esg e quindi rigorosamente misurabili, con buona pace di chi sventola la bandiera della sostenibilità solo per dare qualche pennellata di verde a business insostenibili, e non solo ambientalmente. Balzan parla di prosperità come cambio di significato, come concetto allargato alla capacità di un’azienda di produrre benessere diffuso, a partire dai propri dipendenti, e di valorizzare così facendo la reputazione sul mercato del lavoro, attraendo nuovi talenti. Strategia decisiva nell’era dei fenomeni globali come la great resignation e il quiet quitting, con milioni di giovani professionisti che lasciano le loro aziende alla ricerca di un miglior work-life balance, ossia di un più equo equilibrio tra lavoro e vita privata, o che lavorano con il minimo sforzo, senza entusiasmo né ambizione. Perdere dipendenti o non riuscire ad attrarne di nuovi rappresenta un danno economico per le aziende, a cui si risponde migliorando le performance di sostenibilità e certificandone l’evoluzione virtuosa attraverso dati solidi.

Salto culturale difficile, specie per il capitalismo italiano

Il libro di Ada Rosa Balzan lascia una sensazione duplice e contrastante: da un lato aumenta la consapevolezza dell’importanza dei temi affrontati, e della correttezza di un approccio serio e rigoroso; dall’altro fa emergere l’amaro timore che il salto culturale dall’estemporaneità di singole azioni virtuose alla creazione di modelli di business sostenibili sia lento e irto di insidie, specie per il capitalismo italiano. O per quel che ne rimane.

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