Tag Tales
Il party per Lady Gaga, celebrata come una regina a Milano per la prima di House of Gucci, risveglia un vecchio amore che sembrava dimenticato. Il racconto di Tag43.
Alla premiére del film su Gucci, all’Odeon, tutti gli occhi sono puntati su Lady Gaga, svolazzante con il suo abito rosso fuoco firmato Versace. Accolta da applausi scroscianti e ovazioni, Lady Germanotta è rimasta senza parole a causa del benvenuto da vera regina che i fan le hanno riservato e, davanti a una selva di flash e microfoni, ha reso omaggio ai servizi sanitari e a tutte le donne italiane. La schiera di vip e starlette che ha avuto la fortuna di essere invitata a questo evento esclusivo, dedicato a un pubblico selezionatissimo, si mette in posa, posta su Instagram ed è tutto come sempre un baci bacini, anche se c’è il Covid, quindi in realtà un po’ meno del solito.
Al bar, i camerieri del catering smerciano cocktail a raffica, dietro a una miriade di mani tese, come si vede in certe scene del TG24, quando le telecamere inquadrano i volontari di Emergency che dai camion distribuiscono provviste, tipo ai profughi del Rwanda o robe del genere. Io dal canto mio sono vittima di continui e insistenti attacchi di nausea, con indosso un doppiopetto blu in puro cashmere di Caraceni, direttamente dal guardaroba di mio zio, il Conte Serbelloni, che ho ereditato in blocco dopo la sua morte, più o meno un anno fa. Ofelia si muove con disinvoltura e in fondo io sono qui solo perché il catering è stato organizzato da lei, quindi la lascio in pace a fare pubbliche relazioni mentre scambio due parole con Martina Mondadori, saluto Paola Manfrin e rubo due flûte di champagne destinati a Billy Costacurta e Martina Colombari, continuando a guardarmi attorno terrorizzato, tutto il tempo, perché in fondo temo di incrociare Allegra, anche se sono quasi sicuro che non si materializzerà mai a una serata come questa. Fortunatamente il tutto è misericordiosamente breve e di colpo mi trovo nel mio letto nell’appartamento in via Mozart, completamente nudo, con Ofelia sopra che mi bacia avida in bocca e mi morde un orecchio, anzi quasi me lo stacca, mentre la penetro dieci, venti, trenta volte, con la mia sensibile punta, prima di avere un leggero orgasmo e morire, tra le lenzuola disfatte.
Per un lungo periodo il solo pensiero mi procurava problemi respiratori. Niente amore, dolcezza, malessere o altre sciccherie del genere. Solo un fottuto problema respiratorio
Alle quattro del mattino mi sveglio tutto sudato in preda a una crisi respiratoria mentre Ofelia dorme, noncurante del fatto che io possa morire, così mi alzo e vado in bagno a sciacquarmi la faccia e vago per la casa cercando una bottiglia di San Pellegrino o di Acqua Panna che mi aiuti a calmarmi almeno un poco. Sarà stata la visione del film, saranno stati i quattro gin tonic, ma ho la testa che mi esplode e non riesco a togliermi dalla mente Allegra. C’è stato un periodo, nemmeno troppo lontano, in cui dopo la nostra rottura la sognavo continuamente. Erano sempre sogni tesi, fatti di situazioni strane: litigi, scleri, incomprensioni e compagnia bella. Per un lungo periodo il solo pensiero mi procurava problemi respiratori. Niente amore, dolcezza, malessere o altre sciccherie del genere. Solo un fottuto problema respiratorio che prima o poi, ne ero certo, mi avrebbe soffocato. Esattamente quello che ho provato stanotte, dopo la visione di House of Gucci, con Ofelia addormentata nel mio letto.
«Sei pallido», mi disse Allegra, l’ultima volta che la vidi. Un flashback di noi due seduti ai tavolini della Belle Aurore, Via Castel Morrone, Milano, luglio 2008. Decisamente troppo sicura di sé riesce a irritarmi più volte nel corso della serata mentre ostenta un’aria indifferente e chiede: «Cosa c’è?». «Niente», dico scioccamente. «Sei pallido», dice lei. Allunga una mano per sfiorarmi la faccia. Io mi ritraggo istintivamente. Parliamo di noi. Io mi concentro sul mio battito cardiaco, per rallentarlo. Allegra dice una serie interminabile di stronzate, tra le quali la più grande è riferita a una serie di mie vecchie lettere che, testuali parole, «sembravano scritte da un bambino di cinque anni». Non ribatto. Un lungo silenzio, durante il quale cerco di imparare qualcosa. «Non credo», dico, e la mia voce si spezza. Paghiamo il conto e passeggiamo verso casa mia in via Amedeo d’Aosta e qualcosa nella sua espressione si irrigidisce prima di una lunga pausa. Poi una jeep nera viene a prelevarla e poco dopo mezzanotte scompare prima che possa invitarla su da me e squarciarle la gola con un grosso coltello da cucina. Non si volta nemmeno a guardarmi, la mia paura non la tocca. Più importanti le vacanze in barca sul Créole o la casa da arredare a Lugano. Io piango in silenzio un pianto senza lacrime.
Ho conosciuto Allegra a 15 anni, nel 1994, alla discoteca minorile Madame Claude di Piazza San Babila e poteva essere novembre oppure gennaio. Ricordo solo che faceva freddo e che le prestai il mio Barbour, rimanendo a congelarmi stretto in una polo rugby a righe rosse e blu Ralph Lauren, mentre ci rollavamo uno spino seduti uno di fianco all’altra sui gradini del Break, in Piazzetta Giordano, davanti all’entrata del locale. Qualche mese dopo spararono in faccia a suo padre in via Palestro, davanti all’entrata del suo ufficio a pochi metri da casa. La notizia fece un clamore pazzesco. Ne parlarono i giornali di tutto il mondo e partì un’indagine che da Milano arrivò prima in Svizzera e poi in Spagna. Si ipotizzò che fosse stato ucciso per debiti, punito per aver investito in un casinò e aver manipolato il denaro, freddato addirittura da killer internazionali, arabi o russi, assoldati dalla mafia per chissà che sgarro. Si scoprì dopo oltre un anno che la mandante dell’omicidio in realtà era stata sua madre e che aveva grossolanamente organizzato il tutto con la complicità di una fattucchiera napoletana ingaggiando dei disperati, dopo una serie di incontri al Bar Jamaica.
Dopo l’arresto di sua madre, Allegra cadde in una depressione catatonica. Non uscì di casa per quasi sei mesi e che non la vidi più per parecchio tempo fino a quando non la incontrai, diversi anni dopo, magrissima ed emaciata, al funerale di Charly Colombo
Ricordo che dopo l’arresto di sua madre, Allegra cadde in una depressione catatonica, che non uscì di casa per quasi sei mesi e che non la vidi più per parecchio tempo fino a quando non la incontrai fortuitamente, diversi anni dopo, magrissima ed emaciata, al funerale di Charly Colombo, un ragazzo della mia scuola che si suicidò con un colpo di pistola nella Jacuzzi del padre a soli 18 anni. E poteva essere il 2001 o il 2002. Nel 2006, dopo che la mia storia con Lucilla era definitivamente naufragata, stavamo insieme da quasi due anni. Non avevo mai avuto una ragazza per così tanto tempo. Eravamo inseparabili. Mi parlava di sua madre, che avrebbe preferito morta, come la mia. Le parlavo di mio padre, che avrei preferito morto, come il suo. Spesso andavamo da lei a Saint Moritz e la casa era piena di foto di lei e di sua sorella Alessandra. A due anni in Sardegna. A tre a New York. A quattro a Montecarlo. A cinque alle Seychelles, con un costume da bagno verde, accanto all’albero di una barca a vela gigantesca. Probabilmente il Créole. Poi qualcosa tra noi si ruppe. Prima lentamente, poi velocemente. Successivamente Allegra si trasferì a Lugano e non la vidi più. Per un periodo ci pensai costantemente, poi smisi. Fino a questa notte, nella quale il pensiero di Allegra Gucci è tornato a trovarmi improvvisamente.