Non c’è solamente la legge sulla sicurezza nazionale a minare il futuro di Hong Kong. L’Asia Internet Coalition, un gruppo co-fondato da Google e che ha tra i suoi membri Apple, Facebook, Amazon, LinkdedIn e Twitter, ha avvertito il governo del territorio – con una lettera di sei pagine – che, se dovessero essere approvate delle modifiche alla legge sulla privacy proposta lo scorso maggio, le aziende potrebbero smettere di operare a Hong Kong. In particolare, a spaventare le big tech sarebbe l’emendamento che prevede “sanzioni severe” per le persone fisiche che rappresentano le grandi compagnie, ma senza specificarne l’entità. L’Aic si è dunque rivolta ad Ada Chung Lai-ling, la Commissaria alla privacy dei dati personali di Hong Kong: «L’introduzione di queste sanzioni, rivolte agli individui, non è in linea con quelle che sono le tendenze globali. L’unico modo per evitare questi provvedimenti per le società tecnologiche sarebbe astenersi dall’investire e dall’offrire i propri servizi a Hong Kong, creando così nuove barriere al commercio», si legge nella lettera riportata dal Wall Street Journal.
Hong Kong e il doxing
A parlare a nome dell’Aic è l’amministratore delegato, Jeff Paine. Che, dopo aver riconosciuto come gli emendamenti proposti si concentrino sulla sicurezza e sulla riservatezza dei dati personali delle persone, ha espresso «grave preoccupazione» in riferimento al doxing. Il doxing è una pratica attraverso la quale vengono pubblicati, in rete, dati sensibili o informazioni private di una persona. E quindi nome e cognome, indirizzo di casa, numero di telefono e così via. Hong Kong, durante le proteste del periodo 2019-20, ha vissuto un’ondata senza precedenti di doxing, con un numero enorme di dati personali pubblicati online da entrambe le parti: a essere presi di mira non sono stati solo attivisti o giornalisti, ma anche poliziotti e politici, insieme alle rispettive famiglie.
«Crediamo che qualsiasi legislazione antidox, che possa limitare la libertà d’espressione, deve essere costruita sui principi di necessità e proporzionalità», si legge nella lettera dell’Aic. L’altra parte ha provato quindi a raffreddare gli animi: Carrie Lam, capo esecutivo di Hong Kong, ha infatti dichiarato che la legge si rivolgerà solamente alle pratiche «illegali», e ha proposto un incontro tra i rappresentanti delle big tech e il Commissario alla privacy del territorio. «Il doxing deve essere regolato, e su questo punto c’è un ampio sostegno», ha dichiarato Lam. «L’emendamento in questione intende affrontare la questione, dando poteri al Commissario per la privacy di avviare delle indagini. Tutto qui».
Hong Kong e le nuove leggi
Lam ha poi parlato in generale dell’intera, nuova legislazione di Hong Kong, «calunniata e diffamata» a livello internazionale, ma che avrebbe avuto effetti meno gravi di quelli dichiarati. Ad esempio, secondo la leader del territorio, la legge sulla sicurezza nazionale ha portato stabilità alla città, nonostante le condanne espresse dalla quasi totalità dell’Occidente. In realtà, la legge in questione ha causato una stretta fortissima del dissenso da parte della autorità: più di 10 mila persone sono state arrestate in seguito alle proteste, e almeno 128 sono state accusate per i reati previsti dal nuovo testo. Un testo che è parte fondamentale della strategia di Pechino di annullare quasi totalmente l’autonomia di Hong Kong, progetto che tra l’altro sta andando avanti a velocità spedita.
La Cina e i dati personali
Quello della lettera dell’Aic alle autorità di Hong Kong è il secondo caso in pochi giorni che coinvolge la Cina e i dati personali. Pechino, infatti, ha rimosso dai suoi store Didi Chuxing, la “Uber” locale, accusata di aver raccolto illegalmente i dati degli utenti. La mossa, visto il grande successo dell’app, è stata vista come ulteriore stretta delle autorità sui giganti del big tech.