Hong Kong, domestici senza casa e lavoro perché positivi al Covid
Quasi 400 mila collaboratori domestici sono costretti a dormire per strada. Contratta la malattia si sono visti negare la possibilità di fare la quarantena nelle case in cui lavoravano e si ritrovano a ripiegare su rifugi di fortuna.
Licenziati perché colpevoli di aver contratto il Covid. È quello che è accaduto a numerosi collaboratori domestici di Hong Kong che, dopo essersi ammalati, si sono ritrovati senza un lavoro, una casa e un’assicurazione utile a coprire le spese mediche.
Cosa è successo ai lavoratori domestici di Hong Kong risultati positivi al Covid
Messa in ginocchio dalla quinta ondata e dalla variante Omicron, con migliaia di positivi al giorno e ospedali e terapie intensive completamente sature, l’isola sta facendo i conti con quello che, dati alla mano, potrebbe essere il peggiore focolaio dall’inizio della pandemia. Situazione esacerbata dalle rigide politiche di isolamento che, rivolgendosi a pazienti e soggetti che hanno avuto contatti con positivi, hanno causato non pochi problemi di sistemazione, lasciando decine di migliaia di persone senza un posto in cui stare, come nel caso dei collaboratori domestici, per la maggior parte donne originarie dell’Indonesia e delle Filippine, che si sono visti rifiutare dai datori di lavoro la possibilità di isolarsi nella stanza dell’appartamento che era stata loro assegnata una volta firmata la lettera di assunzione.

Hong Kong, collaboratori domestici costretti a dormire per strada
A oggi, nel Paese, si contano circa 390mila domestici che, in genere, lavorano sei giorni a settimana e guadagnano uno stipendio minimo di 4630 dollari di Hong Kong al mese (circa 593 dollari americani). Pacchetto a cui si aggiungono anche vitto e alloggio. Dal momento che, per legge, sono obbligati a vivere con la famiglia che li assume, in caso di Covid non possono isolarsi in nessun altro posto se non nell’appartamento del “datore di lavoro” o in una struttura ospedaliera. Spesso, però, le cose non sono andate così. Lo sa bene Maria, domestica filippina che, dopo la diagnosi, si è vista proporre dal datore di lavoro due opzioni: recarsi in ospedale e implorare un ricovero millantando sintomi gravi o, in extremis, la rescissione del contratto. «Sono andata in ospedale al mattino ma c’era così tanta gente che mi hanno trattenuto in sala d’attesa fino alle sei di sera», ha raccontato al Guardian. «il mio capo mi aveva intimato di non ritornare a casa perché ero pericolosa e aveva paura potessi contagiarli». Rimasta da sola e senza una meta, è stata messa in contatto con l’associazione Help For Domestic Workers, una ong che l’ha aiutata a trovare un tetto temporaneo. Mentre diversi colleghi, nella sua stessa situazione, si sono visti costretti a dormire nei parchi, sui cavalcavia o all’ingresso degli ospedali.

L’intervento del console filippino
La notizia, ovviamente, si è diffusa ovunque, fino ad arrivare alle orecchie del console delle Filippine, Raly Tejada, che, scandalizzato dalla decisione dei cittadini di Hong Kong, li ha accusati di atti illegali e immorali. «Se possono provare che è stato chiesto loro di andare via per la loro malattia, ci sono gli estremi per procedere dal momento che si tratterebbe di un licenziamento illegale in base a quanto previsto dall’ordinanza sul lavoro», ha spiegato Tejada, «per questo, stiamo cercando di convincere i datori che questo modus operandi è assolutamente sbagliato. Tanto giuridicamente quanto eticamente».

Per Manisha Wijesinghe, direttrice di HELP, alla radice di questi comportamenti c’è la paura: «Non ci vedo alcuna malizia. Penso, invece, che i superiori siano terrorizzati all’idea di poter contrarre il Covid o di vedere ammalati i propri familiari o di ritrovarsi costretti a fare la quarantena per la vicinanza a un dipendente positivo». In ogni caso, tutto questo non giustifica la freddezza con cui hanno lasciato donne sole e indifese per strada, per tre o quattro notti, in pieno inverno. Un gesto «evitabile e assolutamente inconcepibile. Lavorano, è vero, ma diventano, comunque, parte della famiglia. E i familiari si proteggono, non si abbandonano».
Tra imbarchi negati e strategie del governo
Secondo HELP, numerosi sono stati anche i casi di lavoratori domestici che, risultati positivi poco prima di un volo di ritorno a casa, sono stati allontanati dapprima dall’aeroporto, poi dalla pensione in cui alloggiavano. È quello che è successo a Mai, che si è ritrovata a dormire in una tenda. «Mi hanno dato una coperta e questo piccolo riparo, in modo che non sentissi freddo», ha aggiunto. «Sono stata lì un’intera notte». Da allora, è stata trasferita in una struttura di accoglienza grazie ai volontari ma le ong continuano a ribadire che non sono sufficientemente equipaggiate per consentire ai pazienti Covid una quarantena nel pieno rispetto dei protocolli. Ora è tutto nelle mani del governo che, coadiuvato dai consolati, sta studiando una strategia per aiutare quanti sono rimasti disoccupati a rimettere insieme i pezzi e ripartire.