Hong Kong, i ribelli del libro

Camilla Curcio
16/07/2021

All'annuale fiera dell'editoria, molti espositori hanno scelto l'autocensura per non essere penalizzati. Ma c'è chi si è tolto il bavaglio ed espone volumi pro-democrazia invisi a Pechino.

Hong Kong, i ribelli del libro

Alla fiera del libro di Hong Kong è tempo di autocensura. Dopo lo stop imposto dalla pandemia, l’evento annuale, iniziato il 14 luglio, è ritornato in presenza e i librai hanno elaborato una strategia per tutelarsi dal rischio di violare la legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino a giugno 2020. Sugli stand, tra le novità proposte al pubblico, è disponibile soltanto una selezione ridotta dei libri considerati ‘pericolosi’ perché anti-governativi, manifestamente pro-democrazia o semplicemente centrati su argomenti reputati scomodi dalle autorità.

Un bavaglio per sopravvivere

Vista la violenza con cui le forze dell’ordine si sono scagliate contro i dissidenti durante le ultime proteste – da quella degli ombrelli del 2014 a quelle del biennio 2019-20 – e la recente chiusura, il 23 giugno, di Apple Daily, giornale inviso a Pechino – gli addetti ai lavori del settore librario hanno scelto di rinunciare temporaneamente alla libertà di espressione in nome della sopravvivenza. Soprattutto dopo un anno così difficile in termini di business. È il caso dell’editore locale Jimmy Pang che, abituato a esporre e vendere saggi sulle contestazioni a favore della democrazia guidate dal ‘movimento degli ombrelli’, si è reso conto negli anni di come opere del genere siano lentamente scomparse dal mercato e dalle fiere. A far scattare la loro messa all’indice bastano uno stralcio o addirittura qualche riga. «Ciascun commerciante ha il compito di selezionare con estrema cura i libri che ha intenzione di esporre per evitare che il contenuto possa causare problemi», ha spiegato al Guardian. «Nessuno di noi vuole rischiare la vita né rovinare l’esposizione, ecco perché abbiamo deciso di metterci il bavaglio».

Gli editori che dicono no all’autocensura

Naturalmente sono piovute critiche da parte del pubblico, innamorato della fiera del libro di Hong Kong proprio per la varietà di temi e autori che, fino all’approvazione della legge, era riuscita a offrire. Benjamin Chau, direttore esecutivo dell’Hong Kong Trade Development Council, organizzazione che si occupa della rassegna, ha risposto negando la censura indiscriminata e ribadendo che i libri scritti da autori che sostengono la democrazia possono essere venduti purché rispettino le prescrizioni. Queste dichiarazioni non sono servite a placare gli animi dei visitatori, soprattutto, l’indignazione di diverse case editrici che hanno scelto di esporre ugualmente molti dei testi messi all’Indice. «Dietro al processo di pubblicazione c’è un lavoro enorme utile a verificare che quanto scritto nel libro sia legale. Ecco perché abbiamo deciso comunque di portare molti dei titoli proibiti. Non crediamo ci sia nulla di sbagliato nel loro contenuto», ha spiegato Raymond Yeung, portavoce degli editori della Hillway Culture Company. «Speriamo davvero che questo nostro gesto incoraggi i colleghi a non sottomettersi e a dimostrare come ci siano ancora professionisti del settore che hanno il coraggio di pubblicare scritti potenzialmente rischiosi, nonostante tutto».