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Il futuro di Hong Kong, tra repressione e controllo cinese

Il 1 luglio a Hong Kong ricorre il 25esimo anniversario del trasferimento di sovranità dal Regno Unito alla Cina. Dall’elezione di John Lee Ka-chiu, governatore fedelissimo a Pechino, alla costante limitazione della libertà, il futuro del Porto Profumato è quantomai incerto.

1 Luglio 2022 08:41 Tiziano Marino
Il futuro di Hong Kong, tra repressione e pressione cinese

Il primo luglio ricorre per Hong Kong il 25esimo anniversario del trasferimento di sovranità dal Regno Unito alla Repubblica Popolare Cinese. Solitamente celebrato con manifestazioni anticinesi, l’appuntamento giunge in uno dei momenti più tragici per l’opposizione democratica dell’ex colonia britannica provata da due anni di misure repressive adottate dall’ormai ex chief executive Carrie Lam. Proprio il primo luglio, Lam lascerà il posto a John Lee Ka-chiu uomo forte scelto dal Partito comunista cinese per guidare il Porto Profumato. Già capo della sicurezza hongkonghese, il nuovo leader era l’unico candidato all’elezione dello scorso maggio in cui oltre il 99 per cento dei membri del comitato elettorale si è espresso a suo favore.

John Lee Ka-chiu, uomo di fiducia di Xi Jinping

John Lee Ka-chiu si è guadagnato in questi anni la fiducia di Xi Jinping supportando la repressione delle proteste che scuotono la vita politica di Hong Kong dal 2019. Inoltre, il nuovo leader è stato tra i promotori della contestatissima legge sulla sicurezza nazionale introdotta nel giugno 2020 con l’obiettivo, sostanzialmente già raggiunto, di limitare gli spazi di libertà e democrazia. Proprio a causa delle sue posizioni oltranziste, John Lee Ka-chiu è finito, insieme ad altri 11 esponenti politici hongkonghesi, nella lista dei soggetti sanzionati dagli Stati Uniti. In questo quadro, Hong Kong prepara le celebrazioni di luglio in attesa di sapere se il Presidente cinese sarà presente o meno. Qualora venisse confermato il viaggio di Xi Jinping, il primo del leader “fuori” dalla Cina dal 2020, rappresenterebbe un chiaro segnale di supporto per il nuovo esecutivo.

Il futuro di Hong Kong
John Lee con Carrie Lam (Getty Images).

Il governo dei sanzionati

John Lee Ka-chiu non è l’unico esponente della nuova compagine governativa hongkonghese a essere sottoposto a sanzioni. Oltre al leader, che ha accusato gli americani di voler intimidire e bullizzare i governanti di Hong Kong, anche due ministri e il nuovo chief secretary sono finiti nelle liste americane. L’insediamento del nuovo governo, benedetto da Pechino il 19 giugno, segna la fine del turbolento mandato di Carrie Lam. Al potere dal 2017, Lam ha assecondato le decisioni cinesi che hanno eroso il principio “un Paese, due sistemi” in vigore dagli accordi sino-inglesi degli Anni 80 e destinato (in teoria) a durare fino al 2047. I primi segnali della volontà cinese di porre fine al regime di autonomia di Hong Kong si erano avuti già nel marzo 2019 quando Lam provò a introdurre una nuova legge sull’estradizione (Extradition bill). Percepita come una minaccia per l’autonomia legislativa e giudiziaria di Hong Kong, la proposta di legge è stata poi ritirata sotto la pressione delle proteste di piazza. Tuttavia, le autorità dell’ex colonia britannica hanno avviato da allora, sempre su spinta di Pechino, una pesante azione repressiva che ha costretto l’opposizione al silenzio.

Il futuro di Hong Kong, tra repressione e pressione cinese
Carrie Lam, ex governatrice di Hong Kong (Getty Images).

Gli effetti della repressione

Negli ultimi 24 mesi gli attacchi a gruppi e singoli esponenti democratici a Hong Kong si sono moltiplicati. Un recente report della neozelandese Human Rights Measurement Initiative ha stimato la chiusura di oltre 50 organizzazioni della società civile, del mondo del lavoro e dell’informazione attive nell’ex colonia. Anche l’indice sulla libertà nel mondo, presentato dall’Ong americana Freedom House, ha sottolineato come il deterioramento delle condizioni di libertà a Hong Kong sia tra i più rapidi e acuti mai registrati. La censura dei canali di informazione indipendenti è stata aggravata dall’assoggettamento da parte di Pechino di emittenti pubbliche come Radio Television Hong Kong. La stretta securitaria nel suo complesso ha impattato enormemente sulle capacità di mobilitazione dell’opposizione lasciando ai dissidenti due sole possibilità: l’esilio o la galera. La stessa libertà di internet, tradizionalmente garantita a Hong Kong, è ora sotto attacco e diversi siti anticinesi sono stati oscurati.

Il futuro di Hong Kong, tra repressione e pressione cinese
Le proteste del 2019 a Hong Kong (Getty Images).

Quale futuro per Hong Kong

Seppur formalmente ancora riconosciuto dalla Cina, lo status di Hong Kong come regione amministrativa speciale è sempre più sotto attacco. L’applicazione della nuova legislazione voluta da Pechino sta riducendo gli spazi di autonomia della magistratura e sta lasciando mano libera alle forze di sicurezza cinesi nell’ex colonia. Altro esempio del mutamento in corso è rappresentato dalla decisione di modificare i testi scolastici hongkonghesi. Obiettivo: riscrivere la storia del Porto Profumato sfumandone il passato coloniale e definendo le proteste del 2019 come ispirate dall’esterno. L’avvicinamento progressivo di Hong Kong alla Cina sta mettendo in dubbio anche la tenuta economica dell’importante centro finanziario asiatico. Le sanzioni, infatti, potrebbero con il tempo aumentare obbligando le stesse autorità di Hong Kong a ripensare il futuro della regione amministrativa sempre meno “speciale” e sempre più cinese.

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