Non che ci volesse Lewis Hamilton per scoperchiare il vaso di Pandora dei diritti umani in Arabia Saudita. Però si sa, quando a parlare è un sette volte campione del mondo, inevitabilmente, le frasi fanno più rumore. Funziona in questo modo da sempre, e allora meglio prendere il buono della vicenda. «Se mi sento a mio agio qui? Direi proprio di no, ma lo sport ha deciso così». La vigilia del Gran premio di Jeddah penultima prova del mondiale di Formula 1 si scalda e per una volta la sfida per il titolo con Max Verstappen c’entra poco. Lo sguardo è rivolto altrove, l’asticella posta più su. A guardare l’abbigliamento, lo si capisce in fretta. Il pilota sul circuito ha indossato una canotta nera, all’altezza del petto la stampa di mani tese verso l’alto, mentre sui pantaloni spuntano le colombe bianche, inequivocabile simbolo di pace.
A great win for our first time in Qatar. #TEAMLH you keep us going, we keep pushing and we feel your energy more than ever. It’s been one hell of a year but I love this battle. Getting right back to work, focused and ready for the final two races. We win & we lose together. pic.twitter.com/sGHFwBcV8c
— Lewis Hamilton (@LewisHamilton) November 21, 2021
Dress language, perché pecunia non olet, ma fino a un certo punto, sembra suggerire Lewis. Che qualora il segnale non fosse chiaro, ha rilanciato la posta e domenica gareggerà con un casco arcobaleno: «Visto che ci siamo, evidenziamo in problema. La legge per la comunità Lgbtq, se qualcuno vuole prendersi il tempo di leggerla, è piuttosto terrificante. Ci sono modifiche che si devono apportare, cose che si possono cambiare». Vicinanza e sostegno alla causa, insomma, lo aveva fatto già in Qatar, ci riproverà anche in futuro. Su certi temi, d’altronde, bisogna costantemente battere il ferro, caldo o freddo che sia.
Jeddah, il calcio prima della Formula 1
Indipendentemente dalle idee del suo esponente di punta, la Formula 1 battezzerà Jeddah, il calcio, quello italiano in testa, invece, c’era già arrivato. Accompagnato naturalmente da uno stuolo di polemiche. Nel 2018 lì si era disputata la supercoppa nazionale. Un evento passato alla storia evidentemente come un successo, se la trasferta è stata bissata anche l’anno successivo, seppur allo stadio della capitale, Riad. Dettagli. In mezzo, decisamente più pesante, la questione dell’omicidio di Jamal Ahmad Khashoggi, giornalista e scrittore dissidente, entrato al consolato saudita di Istanbul per i richiedere i documenti necessari a sposarsi e mai più uscito. «Fu ammazzato per ordine del principe ereditario Mohammed bin Salman», ha scritto qualche giorno fa la compagna e attivista turca Hatice Cengiz. Il destinatario della sua lettera aperta era Justin Bieber, invitato a cantare in occasione dell’inaugurazione della pista, insieme ad tante altre altre star del panorama internazionale, da David Guetta a Tiesto. «Ti chiedo di cancellare la tua performance. È un opportunità unica per far capire al mondo che il tuo nome e il tuo talento non saranno usati per riabilitare un regime che uccide i suoi oppositori». Ma l’esibizione ad oggi risulta confermata, con buona pace dell’hashtag #WtfJustin, circolato con insistenza su Twitter.
Please, Justin Bieber, @justinbieber don’t perform for the regime that killed my fiance #justinbieber #saudiPawn https://t.co/dXM9XszvNG
— Hatice Cengiz / خديجة (@mercan_resifi) November 21, 2021
La lettera dell’osservatorio per i diritti umani ai grandi della Formula 1
Una missiva, il 29 novembre, era stata inviata pure dall‘Osservatorio per i diritti umani, destinatari Stefano Domenicali, Jean Todt e Chase Carey. «Il governo locale sta facendo di tutto per seppellire le violazioni dei diritti umani sotto spettacoli pubblici ed eventi sportivi», ha detto Michael Page, vicedirettore per il Medioriente dell’organizzazione. E ancora: «Gli appuntamenti dei prossimi giorni rischiano di rafforzare lo sportwashing saudita, attività finanziata allo scopo di ripulirsi l’immagine, nonostante l’aumento significativo della repressione negli ultimi anni». Detto del cronista, i rapporti internazionali rimangono un elenco infinito di torture, arresti sistematici degli oppositori politici e punizioni per le loro famiglie: «Una situazione di cui nessuno può dire di essere allo scuro». E chiaramente discordante con le finalità dichiarate da LibertyMedia. Detentrice dei diritti della Formula 1, nella scorsa stagione la società aveva dato vita alla campagna #WeRaceAsOne, contro il Covid e le discriminazioni di ogni tipo. Un impegno tradottosi, tra gli altri, in un arcobaleno sulle vetture. Il simbolo oggi è scomparso, alla luce dei nuovi obiettivi: sostenibilità, diversità, inclusione, comunità. Malgrado le voci di rinascimento, non esattamente l’identikit dell’Arabia Saudita.
Equality for all. pic.twitter.com/LklC5SZ4lB
— Lewis Hamilton (@LewisHamilton) December 1, 2021