Allestire paragoni tra eventi distanti tra loro, geograficamente come concettualmente, è sempre sport che non porta a nulla. Per dire, ovvio che se volessimo mettere su un medesimo piano l’Halftime Show del SuperBowl, uno spettacolo che solo negli Usa può contare su qualcosa come 100 milioni di spettatori, per non dire quanti lo seguono dal resto del mondo e nei giorni successivi sui social, col nostro Festival di Sanremo o anche con l’imminente Eurovision, andremmo a schiantarci contro un blocco di Jersey come quelli che si trovano in mezzo all’autostrada.

L’Halftime show e quei 15 minuti di vera celebrità
Loro, gli americani, Hollywood e hollywoodiano mica è un’invenzione propagandistica, mettono in piedi spettacoli praticamente perfetti sotto tutti i punti di vista. Nello specifico, la musica, le coreografie, la spettacolarità della scaletta, l’empatia e anche il clamore. Nessuno come loro sembra saper ben dosare gli ingredienti, e ogni anno ci si ritrova a commentare in ogni angolo del mondo uno spettacolo che a ben vedere dura poco meno di un quarto d’ora, destinato a intrattenere gli spettatori nel bel mezzo della finale del campionato di Football americano. Per questo, anche per questo, ci ricordiamo ancora oggi show dell’Halftime di anni passati, dal passaggio ormai leggendario in cui un giovane e spavaldo Justin Timberlake scopriva la tetta a Janet Jackson alle performance sfavillanti di una Lady Gaga come di una Beyoncé, ma l’elenco sarebbe davvero lunghissimo: dagli U2 a Prince tutti sono passati di lì. Del resto, se come diceva Andy Warhol tutti in futuro avremmo avuto diritto al nostro quarto d’ora di celebrità, concetto ampiamente superato dall’avvento dei social e dell’uno vale uno, è anche vero che il quarto d’ora di celebrità regalato dall’Halftime Show è un passaggio fondamentale nella carriera di un artista pop occidentale: mai nessuno che abbia detto no a quello che è uno degli spazi televisivi (e quindi pubblicitari) più seguiti al mondo.

I giganti capitanati da Dr Dre, gli omaggi a 2Pac e a Colin Kaepernick
Quello che però abbiamo visto quest’anno è stato non solo un gigantesco show dal punto di vista meramente artistico, a susseguirsi in scaletta un dream team urban e hip-hop giustamente capitanato da Dr Dre, che di questo mondo è figura mitologica e divina, e che ha visto alternarsi al microfono giganti quali Snoop Dogg, in una improbabile tuta dai colori sgargianti lì a omaggiare anche 2Pac con California Love, Mary J. Blige, 50 Cent, ospite a sorpresa, mai annunciato fino alla sua apparizione sul palco, appeso a testa in giù come nel video del brano che ha eseguito, la sua hit d’epoca In Da Club, il premio Pulitzer Kendrick Lamar, arrivato finalmente a una platea giustamente planetaria e infine Eminem, a ragione considerato uno dei più grandi rapper di tutti i tempi.

A sua volta, anche la band che li accompagnava aveva qualcosa di stellare, su tutti Anderson Paak alla batteria per il mini set di Eminem. Eminem che contravvenendo a quanto chiesto esplicitamente dall’Nfl si è inginocchiato al termine del suo set, omaggiando quindi l’atleta Colin Kaepernick che proprio sei anni fa ha inaugurato questo gesto ormai divenuto iconico, simbolo del Black Lives Matter. E vedere un caucasico inginocchiarsi in mezzo a tanti artisti afroamericani, diciamolo apertamente, ha davvero fatto un effetto suggestivo, più di tante parole che si sarebbero potute dire o scrivere.

Un messaggio potente ma senza retorica e senza lacrime
Anche in questo l’Halftime Show ha dato diversi giri al nostro Festival di Sanremo, e immaginiamo all’imminente Eurovision, staccando i piedi dalla terra della retorica e innalzandosi a un livello di pragmatismo contornato di grande musica e grandi performance. Non c’era bisogno di una didascalia, per dire la propria rispetto alla questione Black Lives Matter, nessuno discorso sull’inclusività, nessun brano di Tahar Ben Jelloun da leggere con fare piagnucoloso. Prendi un artista stellare come Eminem e mettilo lì, in ginocchio, mentre Dre si mette a muovere le mani sul pianoforte a coda bianco. Niente di retorico, quindi, come niente di pacchiano, neanche i balletti atti a accompagnare una scaletta stringata, ma composta interamente di hit che hanno già abbondantemente superato l’incedere del tempo. Questo basta.

La mappa di Compton, il Tam’s Burgers, California Love: i riferimenti dello show
Il fatto che il SoFi, Stadio considerato a ragione il più costoso del mondo, si trovi lì, dalle parti di Hollywood, ma nel quartiere ghetto di Inglewood, dove per intendersi un giovane Ice Cube appena fuoriuscito dagli N.W.A., crew nella quale ha mosso i primi passi anche lo stesso Dr Dre, ha interpretato il ruolo di protagonista del film Boyz in the Hood, non è un dettaglio. A questo vanno aggiunti i tanti riferimenti dei quali tutto lo spettacolo era infarcito: dall’intro in cui Dre mostrava una mappa di Compton, da lì è arrivato lui, come la riproposizione scenica di luoghi entrati nella toponomastica di chiunque sia mai stato appassionato di gangasta rap, come il Tam’s Burgers, al 21 di West Rosecrans Avenue, ricreato scenicamente. Non solo un inno alla West Coast, ricordiamo che si è partiti proprio da California Love, ma proprio a South L.A. Ecco questo ha dato al tutto una ulteriore mano di smalto allo show: è possibile fare politica e grande spettacolo allo stesso tempo, occupando la scena per pochi minuti ma lasciando segni destinati a rimanere nel tempo. Per questo l’Halftime Show 2022 ha qualcosa a suo modo di epico. Volendo anche un vero ritorno alla realtà dopo il gigantismo mostrato sotto lockdown da The Weeknd l’anno scorso. Quando il mondo dello spettacolo era in grado di ammaliare, certo, ma pure di dire qualcosa di rilevante, roba in grado davvero di mettere i Brividi.
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