Spalle alla bandiera

Camilla Curcio
29/06/2021

Gwen Berry, dopo aver centrato la qualificazione all'Olimpiade nel lancio del martello, durante la premiazione ha protestato contro la scelta di far risuonare l'inno nello stadio. È l'ennesimo gesto eclatante della martellista contro il razzismo.

Spalle alla bandiera

Spalle alla bandiera americana e occhi rivolti verso le tribune. Giunta terza, durante la cerimonia di premiazione, al termine della gara di lancio del martello che le ha permesso di strappare il pass per Tokyo, Gwen Berry ha alzato nuovamente la voce contro il razzismo. Contraria alla scelta di far risuonare l’inno nazionale durante la celebrazione, ha esibito anche una maglietta con la scritta “atleta attivista”.

L’inno fatto suonare al momento sbagliato

Secondo quanto riportato da Espn, la Federazione Americana di Lancio del Martello (Usatf) aveva garantito che Star-Spangled Banner sarebbe stato mandato mentre le sportive si accingevano ad abbandonare lo stadio. Ma così non sarebbe stato. Da qui la reazione della 32enne di St. Louis «Credo proprio fosse tutto organizzato. Mi sembra lo abbiano fatto di proposito e, in tutta onestà, quel gesto mi ha fatto infuriare», ha spiegato Berry alla Cnn. «Cercavo di pensare lucidamente alla cosa giusta da fare. Quindi, sono rimasta ferma sul gradino e mi sono semplicemente girata dall’altra parte. Mi sono coperta la testa con la maglietta. È stata una grossa mancanza di rispetto. So che l’hanno fatto intenzionalmente, ma va bene così. Vedremo cosa succederà».

 

La polemica sull’inno nazionale americano

Per parte sua, l’Usatf non ha risposto alle domande della Cnn in merito ma, in base a quanto scritto dalla Reuters, pare fosse stato stabilito in anticipo che, nei dieci giorni delle gare, l’inno venisse mandato una volta al giorno e in base a un programma predefinito. «Il problema non è tanto l’inno, non è quello l’importante. Non mi ha mai rappresentato e mai lo farà», ha aggiunto l’atleta. «La mia missione va decisamente oltre sport. Voglio rappresentare tutte le vittime del razzismo. Questa è la cosa più importante. Ecco perché partecipo alle competizioni, perché gareggio».

Gwen Berry, dopo la premiazione lo sfogo sui social

L’indignazione di Berry non si è limitata alle dichiarazioni alla stampa. La sportiva, infatti, ha deciso di sdoganare la questione anche sui social. E, mentre su Instagram, si è limitata a postare un fotogramma dell’evento con una didascalia breve ma incisiva «Ho detto quel che dovevo dire, intendevo dire proprio quel che ho detto…smettetela di prendervi gioco di me. Punto», su Twitter ha spiegato come «tutte le iniziative, le dichiarazioni, la rabbia, le pubblicità uscite fuori dopo l’omicidio di George Floyd, tutti i discorsi legati al Black Lives Matter non fossero altro che un contentino, una menzogna». Il gesto ha, ovviamente, attirato le critiche della parte politica più conservatrice (tra cui quelle del senatore texano Ted Cruz) che ha chiesto l’immediato ritiro della sportiva dalla nazionale e dai Giochi olimpici.

 

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Gwen Berry, il pugno chiuso sul podio

Non è la prima volta che Gwen Berry si rende protagonista di gesti eclatanti contro il razzismo. Nel 2019, dopo aver alzato il pugno sul podio dei Giochi Panamericani in Perù, ha perso molti dei suoi sponsor. L’azione da sorvegliata speciale da parte del comitato olimpico e paralimpico statunitense. «È stato un periodo tremendo perché mi hanno privato di tutti i miei guadagni», ha dichiarato la martellista lo scorso anno, «Partecipare alle gare, viaggiare, ottenere i premi in denaro, entrare nella squadra olimpica sono tutti strumenti che mi permettono di sopravvivere e di aiutare la mia famiglia e la mia comunità».

La politica alle Olimpiadi

E se la cosa dovesse ripetersi alle Olimpiadi, cosa accadrebbe? In una lettera aperta agli atleti, la Ceo del comitato olimpico e paralimpico statunitense Sarah Hirshland ha tenuto a sottolineare che «non saranno assolutamente bandite dimostrazioni rispettose di adesione alla protesta contro razzismo e discriminazione razziale». Tuttavia, Tokyo non sembra pensarla allo stesso modo. Il Cio, infatti, ha stabilito un veto su qualsiasi tipo di protesta, appellandosi alla Regola 50, che non autorizza, in nessuna delle sedi, stadi o altre aree olimpiche, «alcun tipo di gesto legato a propaganda politica, religiosa o razziale».