Come i sindaci sono diventati i simboli della resistenza ucraina

Stefano Grazioli
18/03/2022

Vitaly Klitschko, eroe di Kyiv. Vadim Boichenko, voce della città martire di Mariupol. Fino a Artem Semenikhin, leader di Svoboda a Konotop. Dalla prima linea i sindaci ucraini, come il presidente Zelensky, sono diventati simbolo della resistenza contro i russi.

Come i sindaci sono diventati i simboli della resistenza ucraina

I sindaci ucraini sono diventati un po‘ i simboli della resistenza all‘invasione russa. Il loro modello è ovviamente il presidente Volodymyr Zelensky, trasformatosi in un eroe nazionale nel duello a distanza contro Vladimir Putin, fatto di video quotidiani postati sui social e dichiarazioni in diretta televisiva. Da Kyiv – all’inizio della guerra ripreso fuori dalla Bankova, la residenza presidenziale nel cuore della metropoli, e ora quasi sempre dal bunker – il leader ucraino lancia i suoi appelli al mondo: ringrazia per la solidarietà occidentale, vuole più armi, accusa chi secondo lui non fa o non ha fatto abbastanza, come la Germania. L’immediato ingresso nell’Unione europea e nella Nato non sono però più all’ordine del giorno, dopo oltre tre settimane di guerra che hanno fatto capire chiaramente come l’Alleanza Atlantica non rischierà un guerra con la Russia.

Dal muro di Berlino all'11 settembre i discorsi di Zelensky sono pieni di riferimenti alla storia dei paesi a cui si rivolge
Zelensky parla al Congresso Usa (Getty Images).

I sindaci ucraini resistono ma vogliono che la guerra finisca il prima possibile

I sindaci sono invece in prima fila, nelle città assediate dalle truppe russe, e si preoccupano poco delle diatribe politiche, soprattutto quelle senza speranza. Vogliono che la guerra finisca il più in fretta possibile, evitando che la catastrofe umanitaria si allarghi ancora di più. I primi cittadini dei centri piccoli e grandi in questi giorni hanno visto piovere bombe sulle case e sulle scuole, sugli ospedali e sui teatri, e hanno dovuto organizzare corridoi umanitari che spesso e volentieri non hanno funzionato, restando spettatori di tragedie che nessuno ha potuto evitare.

perché i sindaci dell'Ucraina sono simboli della resistenza contro la Russia
Il sindaco di Kyiv Vitali Klitschko a un check point (Getty Images).

Vitaly Klitschko, il boxeur che si prepara all’assedio di Kyiv

Uno su tutti, Vitaly Klitschko, il primo cittadino della Capitale, che si sta preparando a un possibile assedio. L’offensiva russa si è fermata alle porte di Kyiv, tra un riposizionamento militare, l’attesa di rinforzi, le trattative in corso e le voci delle difficoltà logistiche russe. Klitschko, ex campione di boxe passato alla politica, è stato eletto per la prima volta nel 2014 e rieletto nel 2020. Qualche giorno ha detto che la sua città, che fino a un mese fa contava oltre 3 milioni di abitanti e oggi meno della metà, potrà resistere con cibo e medicinali solo per altre due settimane. Ma non si arrenderà. Mai. È pronto per il round finale, anche se la campanella non è ancora suonata.

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Vadim Boichenko, sindaco di Mariupol su Telegram.

Vadim Boichenko, megafono di Mariupol l’Aleppo dell’Ucraina

Oppure Vadim Boichenko, che insieme ai suoi consiglieri è diventato il megafono di Mariupol, a ridosso del Donbass, dove non mancano solo corrente elettrica e acqua: anche le comunicazioni sono diventate impossibili. Il vice Sergei Orlov ha affermato di non riconoscere più la sua città, trasformata dalle bombe russe in una Grozy o in una Aleppo. La roccaforte sul Mare d’Azov, presa nella morsa tra terra cielo e acqua, resiste ancora, ma il prezzo è altissimo e la catastrofe incombe: la capitale della Cecenia e la seconda città siriana sono state ricordate come esempi della furia distruttiva russa che può accanirsi contro obiettivi civili. Sta andando un po’ meglio ad Alexander Lysenko a Sumy e a Igor Terekov a Kharkiv, sindaci delle due più grandi città del nordest, qui i corridoi umanitari hanno funzionato e la presa a tenaglia dei russi non si è ancora stretta.

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Ivan Fodorov, ormai ex sindaco di Melitopol.

I rapimenti dei sindaci di Melitopol e di Dniprorudne, passi verso la russificazione 

E poi c’è Ivan Fedorov, ormai ex sindaco di Melitopol, già conquistata dalle forze del Cremlino sulla direttrice tra il Donbass a est e la regione di Odessa a ovest. La settimana scorsa è stato sequestrato, portato via incappucciato da un manipolo di russi; il giorno dopo 2 mila persone sono scese in piazza per chiederne la liberazione, senza successo, e al suo posto è arrivata subito Galina Danilchenko, consigliera comunale gradita agli occupanti ed esponente di Per la vita, piattaforma di opposizione vicina all’ex presidente filorusso Viktor Yanukovich fuggito dal Paese dopo Euromaidan. Federov è stato poi liberato qualche giorno dopo, scambiato con una decina di prigionieri russi. Zelensky ha definito il suo rapimento un crimine contro la democrazia. Né il primo né l’ultimo di questo conflitto che i borgomastri ucraini stanno combattendo come fossero soldati. Pochi giorni dopo la stessa sorte è toccata a Yevhen Matviiv, primo cittadino della città occupata di Dniprorudne, nella regione di Zaporizhzhia. La sostituzione dei sindaci eletti con esponenti filo-Mosca è un modo per evitare possibili rivolte cittadine e garantirsi l’obbedienza.

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Artem Semenikhin, sindaco di Konotop e leader di Svoboda.

Artem Semenikhin, il sindaco di Konotop leader di Svoboda 

Poco importa poi se questi sindaci non sono proprio tutti immacolati. Artem Semenikhin è primo cittadino di Konotop, cittadina di 80 mila abitanti nella regione di Sumy. Leader locale di Svoboda, formazione di estrema destra erede del Partito socialnazionalista ucraino fondata nel 1991, quando è stato eletto alla fine del 2015, Semenikhin è finito sotto i riflettori della stampa israeliana proprio per il suo background neonazista e antisemita e per il fatto che in consiglio comunale si fosse rifiutato di esporre la bandiera con lo stemma cittadino che ritrae anche una stella di David. Quando all’inizio di marzo una delegazione di militari russi è arrivata in città chiedendone la resa, l’ha rispedita indietro dicendo che Konotop avrebbe combattuto fino alla fine.