Guerra in Ucraina: perché serve rileggere Vasilij Grossman

Guido Mariani
12/03/2022

«Se riusciremo ad avere la meglio in questa guerra tremenda e crudele sarà solo grazie al cuore grande che batte in petto al popolo». Così scriveva nel 1941 da Tula, in Russia, Vasilij Grossman. Giornalista ucraino, sovietico ed ebreo che con lucidità ha fotografato l'orrore. E ci aiuta a leggere l'oggi.

Guerra in Ucraina: perché serve rileggere Vasilij Grossman

«Se riusciremo ad avere la meglio in questa guerra tremenda e crudele sarà solo grazie al cuore grande che batte in petto al popolo, a queste anime sublimi di giusti pronti a sacrificare ogni cosa, a queste madri di figli che ora stanno dando la vita per i loro cari». Queste parole non sono state pronunciate in Ucraina nel 2022, ma sono state scritte a Tula in Russia, allora Unione Sovietica, nell’ottobre del 1941. Sono tratte dai taccuini di Vasilij Grossman pubblicati nel volume Uno scrittore in guerra (Adelphi).

Ucraino, ebreo, sovietico: Grossman manda in cortocircuito ogni pregiudizio antirusso

In un momento in cui qualcuno, alla luce dei tragici avvenimenti bellici, avanza qualche ripensamento sulla cultura russa, la figura e gli scritti di Grossman emergono come un monito e come un modo anche per capire gli orrori di cui l’uomo è capace. Grossman era sovietico, comunista e fu uno dei più autorevoli corrispondenti del quotidiano dell’Armata Rossa, Krasnaja Zvezda. Ed è considerato uno dei più grandi scrittori in lingua russa del XX secolo. Fu la voce del partito e della resistenza contro il nazifascismo. In una sua lettera del 1938 indirizzata a Nikolaj Ežov, capo del servizio segreto Nkvd che diventerà il Kgb, scrisse: «Tutto quello che possiedo lo devo al governo sovietico». Vasilij Grossman è un personaggio però su cui qualsiasi pregiudizio antirusso o antisovietico va in cortocircuito: era infatti ucraino ed ebreo e non è passato alla storia come il propagandista di Stalin, ma come una delle voci letterarie più lucide e capaci di denunciare gli orrori delle guerre e delle dittature, comprese quella sovietica.

Perché serve rileggere Vasilij Grossman
Vasilij Grossman (dal sito della Fondazione Grossman).

La tragedia della Shoah e la censura sovietica

Nato nel 1905 a Berdičev una città a meno di 200 km da Kiev in cui nel 1941 vivevano circa 38 mila ebrei, studia a Mosca e diventa ingegnere chimico, lavora per qualche anno nel Donbass, lasciando poi la sua professione per dedicarsi alla scrittura e diventare, durante la guerra, corrispondente (oggi si direbbe embedded) al seguito dell’Armata Rossa. Vivrà la ritirata strategica del ’41, l’assedio e la resistenza di Stalingrado, la disfatta dei nazisti e l’avanzata dell’esercito sovietico fino a Berlino. Questo percorso lo porterà anche a casa, a Berdičev, dove scoprirà che l’intera popolazione ebrea, compresa sua madre, è stata annientata dai nazisti fin dai primi mesi dell’occupazione. Scriverà in un articolo: «Non ci sono ebrei in Ucraina. Dappertutto è silenzio. Vuoto. Un popolo intero è stato barbaramente assassinato». Ma quel resoconto non verrà pubblicato. La censura sovietica non voleva porre troppa enfasi sugli ebrei, sia per evitare distinzioni tra le vittime e sia per nascondere la complicità di parte della popolazione locale ai massacri.

La nomenklatura contro la sua lettura della battaglia di Stalingrado

Nel 1952 pubblica il suo primo romanzo post bellico Per una giusta causa (il titolo fu imposto dalla censura, in Italia non è mai stato tradotto) dedicato alla battaglia di Stalingrado. Il grande successo del romanzo però non piace alla nomenklatura, troppa enfasi sul popolo, troppo poca quella data al Partito. Grossman viene così attaccato dalla Pravda, cade in disgrazia e solo la morte di Stalin nel 1953 lo salva dal gulag o, peggio, dalla fucilazione. Finita l’era di Stalin, si sente libero di rievocare la storia come l’ha vista e l’ha vissuta, scrive Tutto scorre… e Vita e destino, romanzi che però non vedranno mai luce se non in Occidente e dopo la morte dello scrittore avvenuta nel 1964 (anch’essi in Italia pubblicati da Adelphi).

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Quando Grossman scriveva: «Mosca sperava soprattutto nell’Ucraina. E fu più di tutto con l’Ucraina che se la presero»

In Tutto scorre… racconta la folle opera di collettivizzazione delle campagne ucraine che portò alla requisizione forzata del grano e a una carestia senza precedenti. Scrive Grossman: «Mosca sperava soprattutto nell’Ucraina. E fu più di tutto con l’Ucraina che se la presero, più tardi. (…) Chi firmò quell’assassinio di massa? Spesso io penso: che non sia stato Stalin? Penso: un ordine simile, da quando esiste la Russia, non è stato mai dato. Un ordine che diceva: uccidere per fame i contadini dell’Ucraina, del Don, del Kuban, uccidere loro e i loro bambini. Un’ordinanza che diceva di requisire anche tutto il grano riservato alla semina». Sono parole che lette oggi fanno venire forse ancora di più i brividi. In Vita e destino, da molti ritenuto il Guerra e Pace del XX secolo, narra la strenua lotta all’ultimo sangue nella Stalingrado devastata dai bombardamenti, la crudeltà dei lager nazisti, le camere a gas, ma anche la repressione sovietica. «Il desiderio congenito di libertà», scrive Grossman, «non può essere amputato; lo si può soffocare, ma non distruggere. Il totalitarismo non può fare a meno della violenza. Se vi rinunciasse, cesserebbe di esistere. L’uomo non rinuncia mai volontariamente alla libertà. E questa conclusione è il faro della nostra epoca, un faro acceso sul nostro futuro».

Perché serve rileggere Vasilij Grossman alla luce della guerra in Ucraina
La città di Vasylkiv, vicino Kyiv (Getty Images).

La denuncia dello scrittore e la propaganda di Putin

Leggere oggi Grossman, ebreo, ucraino e sovietico, è utile per decodificare il momento che stiamo vivendo ed è necessario come leggere Dostoevskij e Tolstoj. Vladimir Putin ha cercato di propagandare l’idea che l’invasione dell’Ucraina sia una grande guerra patriottica come lo fu la resistenza del popolo sovietico dopo l’invasione delle truppe dell’Asse. Vuole “denazificarla” come Stalin voleva liberarla dai kulaki (i piccoli proprietari terrieri), riportarla nell’alveo della grande patria russa a cui pensa che debba appartenere. Ma questa idea porta a un’assurda contraddizione e all’impossibile tentativo di configurare come resistenti coloro che stanno aggredendo e bombardando un Paese ormai diventato sovrano. Si dice che Stalin apprezzasse molto gli articoli di Grossman ma ne capì le inclinazioni dopo la guerra e ne frenò le ambizioni e, se non fosse morto, lo avrebbe fatto eliminare; forse Putin lo ha letto, ma sicuramente non l’ha capito.

Perché serve rileggere Vasilij Grossman scrittore ucraino, sovietico ed ebreo
Vita e destino di Grossman.

«Il desiderio di libertà non può essere sradicato»

Anche la resistenza del popolo ucraino era infatti già scritta nelle pagine dell’autore che per esperienza diretta sapeva che l’aggressione e la violenza portano a una reazione che non sempre ha successo, ma che genera qualcosa di insopprimibile. Per usare le parole in Vita e destino: «La gloriose rivolte del ghetto di Varsavia, di Treblinka e di Sobibor, l’imponente movimento partigiano in decine di Paesi che Hitler aveva asservito, i disordini di Berlino del 1953 e in Ungheria nel 1956, dopo la morte di Stalin, così come le rivolte nei lager della Siberia e dell’Estremo Oriente sovietico, i moti di liberazione della Polonia, il movimento studentesco per la libertà di pensiero in numerose città, gli scioperi in molte fabbriche, hanno dimostrato che il desiderio di libertà non può essere sradicato. È stata soffocata, la libertà, ma è sopravvissuta. Un uomo ridotto in schiavitù diventa schiavo per volontà della sorte, non per sua natura».