Le sanzioni occidentali, la svalutazione del rublo, l’isolamento internazionale dovuti alla guerra in Ucraina stanno affossando l’economia russa. E ora una nuova tegola sta per abbattersi sul sistema. Molti lavoratori immigrati potrebbero infatti lasciare il Paese per cercare lavori più redditizi altrove: dal Sudest asiatico al Medio Oriente fino all’Arabia Saudita. Tra qualche mese verrebbe così a mancare manodopera soprattutto nel settore edilizio e nell’agricoltura. Non solo. Se i lavoratori non arrivano in Russia, moltissimi russi stanno lasciando il Paese. Si tratta soprattutto di giovani specialisti in It, imprenditori e creativi che dopo l’invasione dell’Ucraina hanno scelto di trasferirsi all’estero. Si teme che entro aprile i cervelli in fuga saranno ben 170 mila.

L’esodo di massa dei lavoratori stranieri dalla Russia
Gli esperti prevedono tra tre-sei mesi un esodo di massa di lavoratori stranieri. «Se si arrivasse a un cambio di 130-140 rubli per dollaro lo scenario sarebbe questo», ha confermato al Moscow Times Vadim Kovrigin, professore associato del dipartimento di Scienze Politiche e Sociologia alla Plekhanov Russian University of Economics. Sebbene il valore del rublo si sia dimezzato nell’ultimo mese, i lavoratori migranti non stanno ancora partendo. E questo perché non conviene lasciare casa e lavoro per tornare in patria e rimanere disoccupati. Senza contare che, come ricorda Kovrigin, anche con un cambio di 100 rubli per un dollaro, per molti immigrati è comunque vantaggioso restare in Russia. Chi però doveva partire per la Russia si è fermato. Se i salari diminuiscono e il costo della vita sale allora diventerebbe impossibile mandare soldi a casa. Come ha spiegato Batyrzhon Shermuhammad, attivista per i diritti umani dell’Uzbekistan, «i migranti non sono interessati alla politica. Si preoccupano dei tassi di cambio, del prezzo degli affitti e del costo della vita. Chi viene in Russia dall’Asia centrale lo fa solo per mandare soldi alle famiglie».
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Per dare un’idea del fenomeno: il volume delle rimesse private dalla Russia ai Paesi della Comunità di Stati indipendenti (Csi, una organizzazione di cooperazione economica, politica e militare costituita nel 1991 di cui attualmente fanno parte oltre a Russia, Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Moldavia, Tagikistan e Uzbekistan) da luglio a settembre 2021 è stato pari a 2,29 miliardi di dollari, un record negli ultimi sei anni. La maggior parte del denaro è stata inviata in Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan. Del resto sempre nel 2021, lavoravano in Russia 4,5 milioni di uzbeki, 2,4 milioni di tagiki e 920 mila kirgizi.
La pandemia ha dimezzato i lavoratori stranieri in Russia
La carenza di manodopera non è però solo un effetto collaterale della guerra in Ucraina. Già la pandemia con la chiusura delle frontiere aveva ridotto il flusso dei migranti dalla Csi impiegati nell’edilizia, in agricoltura e nei trasporti. Stando alle stime del ministero dell’Interno russo, se prima della pandemia i lavoratori stranieri erano 12 milioni, ora sono la metà. Tra i settori più colpiti c’è l’agricoltura tanto che a fine 2020 le aziende avevano chiesto al governo di facilitare gli ingressi degli stagionali durante i periodi di semina e raccolto. Stesso discorso per l’edilizia. Lo scorso giugno il vicepremier Marat Chusnullin aveva dichiarato che nei cantieri entro il 2024 sarebbero serviti fino a 5 milioni di lavoratori stranieri. Tanta era la richiesta di manodopera che si era arrivati a ipotizzare l’utilizzo di detenuti.

La diaspora dei professionisti in fuga dall’isolamento internazionale
C’è poi chi dalla Russia fugge e non sono solo i giornalisti. Tra 50 e 70 mila tecnici informatici e creativi hanno lasciato il Paese dopo l’invasione dell’Ucraina e a causa del crescente isolamento internazionale. E questa potrebbe essere solo una prima ondata. Ci si attende che i cervelli in fuga raggiungano i 170 mila entro la fine di aprile. Molti di loro sono diretti in Georgia, Armenia e Kirghizistan, ma anche in Turchia e a Dubai. A frenarli, per ora, sono il costo dei biglietti aerei, gli affitti e le difficoltà nelle transazioni internazionali.