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Sabotaggio del Nordstream, il punto (morto) delle indagini e i sospetti sull’Occidente

A quasi cinque mesi di distanza, nessuna indagine è riuscita a stabilire la matrice del sabotaggio al Nordstream. Rompicapo e mistero di questa guerra. Manca la pistola fumante ma molti indizi fanno ipotizzare che dietro all’attacco ci sia una mano occidentale. Una cosa è certa: a Mosca non conveniva privarsi di quest’arma energetica.

11 Febbraio 2023 17:50 Stefano Grazioli
Sabotaggio del Nordstream, il punto (morto) delle indagini e i sospetti sull'Occidente

È il segreto meglio custodito di questa guerra: chi ha fatto saltare Nordstream, il gasdotto sotto il Mar Baltico che collegava direttamente Russia e Germania. La scorso settembre i due bracci sono stati danneggiati, forse irreparabilmente, da tre esplosioni causate da un’azione di sabotaggio avvenuta in acque internazionali, nella zona economica speciale sotto la giurisdizione di Danimarca e Svezia. Sono questi i due Paesi che indagano direttamente sulla vicenda, mantenendo però le informazioni per sé, non condividendole nemmeno con la Germania: la Procura generale di Berlino ha fatto sapere comunque recentemente che non è possibile affermare che dietro l’attentato del 26 settembre 2022 ci sia la mano di Mosca, come suggerito da molti in Occidente.

Le indagini di Danimarca, Svezia e Germania non hanno stabilito la matrice dell’attacco

All’inizio di febbraio un’inchiesta riassuntiva del Times sui tre fronti investigativi separati – quello danese, svedese e tedesco – ha concluso che nessuno ha stabilito di che matrice sia stata l’azione terroristica. Nessun suggerimento nemmeno dalla crema del giornalismo investigativo considerato indipendente, da Bellingcat a The Insider, di solito sempre ben informati su quello che succede a Mosca e con rapporti con le intelligence occidentali. Insomma: a quasi sei mesi dall’attacco non si sa ancora chi abbia piazzato l’esplosivo in fondo al Baltico. O forse non lo si vuole semplicemente dire.

Guerra in Ucraina, Lavrov: «Putin non è malato». Le dichiarazioni del ministro degli Esteri russo sulla tv francese.
Sergei Lavrov (Getty Images).

Mosca scarica la responsabilità sull’Occidente

Spostandosi all’altro estremo dei tubi, in Russia, le idee invece sono abbastanza chiare. Il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, diventato sì la punta di diamante della propaganda putiniana, ma non per questo sempre fuori strada, qualche giorno fa ha ribadito per l’ennesima volta che se si vuole cercare un colpevole per il sabotaggio di Nordstream, bisogna cercarlo non in Russia, ma in Occidente e ha ricordato le parole della vicesegretaria di Stato per gli affari politici dell’amministrazione Biden Victoria Nuland che un paio di giorni dopo l’inizio dell’invasione russa, nel marzo 2022, lo aveva definito un pezzo di ferro in fondo al mare, anticipandone non solo la chiusura causa sanzioni, ma il destino finale. A Mosca non si è dimenticata nemmeno la battuta del presidente statunitense  che, rispondendo alla domanda di un giornalista su come bloccare definitivamente le esportazioni di gas russo dirette verso la Germania aveva detto sorridendo che gli Usa sapevano come fare. Era l’inizio di febbraio, la guerra non ancora iniziata. Il Cremlino, subito dopo le bombe su Nordstream, ha accusato concretamente dell’operazione terroristica la Gran Bretagna.

Sabotaggio del Nordstream, il punto (morto) delle indagini e i sospetti sull'Occidente
Victoria Nuland, segretaria di Stato Usa per gli Affari politici (Getty Images).

Il precedente del 1982 quando la Cia sabotò una pipeline in Siberia 

Non sarebbe la prima volta che un gasdotto russo viene fatto saltare dai servizi segreti occidentali. Nel 1982 in Siberia fu sabotata una pipeline grazie a un software manipolato con un trojan dalla Cia nella cornice della più ampia operazione all’interno della Guerra fredda economica lanciata con l’approvazione dall’allora presidente statunitense Ronald Reagan. La vicenda, raccontata da Thomas C. Reed, ex segretario del Consiglio di sicurezza nazionale, in un libro del 2004, è poi finita nel dimenticatoio. L’operazione Nordstream del 2022 ricalca lo stesso modello, non operativo, ma sicuramente per quel riguarda le ragioni: già 40 anni fa gli Usa volevano forzare il collasso dell’Unione Sovietica indebolendo la già mal messa economia, andando a toccare le esportazioni di gas verso Occidente, fonte di sicure entrate per il Partito comunista a Mosca. L’alleanza energetica tra Russia e Germania è sempre stata guardata con sospetto dagli Usa, che negli ultimi anni hanno spinto per il blocco del gasdotto, guardando da un lato al quadro geopolitico e dall’altro ai loro interessi, con l’intenzione di entrare massicciamente nel mercato europeo del gas liquefatto liquido. Le bombe su Nordstream hanno accelerato il processo.

Il premier della Polonia Mateusz Morawiecki si è detto favorevole alla pena di morte per i crimini più gravi.
Mateusz Morawiecki (Getty Images).

Il ruolo della Polonia e i legami con Washington

Non è nemmeno un caso che l’ex ministro degli Esteri della Polonia Radoslav Sikorsky appena dopo l’attentato abbia ringraziato gli Stati Uniti via Twitter, salvo cancellare il sospetto cinguettio poche ore dopo. La Polonia, insieme con le Repubbliche Baltiche, ha sempre visto il gasdotto come una riedizione del patto Molotov-Ribbentropp, non facendone nemmeno mistero, ed è l’avamposto energetico degli Usa in Europa, sia per quel riguarda l’import di gnl che i progetti per il nucleare, con la recente collaborazione con il colosso Westinghouse per la costruzione della prima centrale nel Paese. Insomma, non ci sono pistole fumanti, ma molti indizi che fanno pensare che a seppellire sul fondo del mare i tubi di Nordstream non siano stati i russi, ma gli occidentali. Chi se ne intende parla di un’operazione congiunta tra servizi britannici e polacchi, avallata ovviamente da Washington. Il Cremlino avrebbe ancora usato volentieri Nordstream come arma energetica, continuando ad aprire e chiudere i rubinetti a suo piacimento: così non ha più scelta. Ed è difficile che si sia privato con un’azione autolesionistica di questa possibilità.

Tag:Crisi ucraina
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