Che l‘Occidente abbia capito sempre poco della Russia non è una novità. Correva l’anno 1939 quando Winston Churchill la definiva «un rebus avvolto in un mistero dentro un enigma». Dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, della Guerra fredda e a oltre 30 anni dal crollo del comunismo, la Russia di Vladimir Putin rimane difficile da decifrare, soprattutto per chi continua a guardare Mosca con lenti occidentali: fra la percezione esterna degli osservatori di Stati Uniti ed Europa e quello che invece accade al Cremlino e ciò che ha in testa il suo inquilino da più di quattro lustri c’è una grande discrepanza che induce a gravi errori di interpretazione, a partire proprio dalla questione dell’invasione dell’Ucraina, del prosieguo della guerra e di tutto quello che succederà poi.
La Russia vista da Washington e Bruxelles non è quella che ha in testa Putin
La gran parte della discussione nel mondo occidentale, politica e mediatica, su come si possa adesso aiutare Kyiv sul terreno ed eventualmente arrivare a concessioni ucraine verso la Russia ha poco a che fare con la realtà. Così ha scritto in un breve articolo su Foreign Policy Tatyana Stanovaya, analista russa e profonda conoscitrice delle dinamiche intorno al Cremlino, che non si è mai lasciata trascinare nei duelli propagandistici e da qualche anno fornisce su R.Politik precise analisi della politica russa per quello che è, non per come l’Occidente vuole che sia o se la immagina. Le tesi di Stoyanova sono semplici e si basano appunto su quanto divergano gli assunti di Washington e Bruxelles da quello che Mosca ha realmente intenzione di fare. Questioni non solo di prospettiva, ma di conoscenza.

La più grande minaccia di Putin è Putin stesso
Innanzitutto sulla conquista dell’Ucraina: «L’obiettivo principale di Putin in questo conflitto non è mai stato quello di controllare parte del territorio ucraino, ma la distruzione dell’Ucraina come progetto anti-russo». La Russia vuole evitare che l’Ucraina venga utilizzata per progetti geopolitici contro la Federazione russa; per Putin è secondario avanzare o arretrare sul terreno: l’Ucraina non entrerà nella Nato e non potrà esistere pacificamente se non ci saranno accordi con la Russia. In questo senso il Cremlino è convinto di vincere la guerra. Allo stesso modo, l’Occidente è sicuro che la Russia possa perdere militarmente la guerra e che il sistema putiniano possa collassare, accompagnato da rivoluzioni dal basso e dell’élite. Per Stoyanova invece «la più grande minaccia per Putin è Putin stesso» e nonostante qualche crepa che c’è sempre stata e le rivalità fra i vari gruppi concorrenti l’architettura costruita in oltre 20 anni al potere è solida. Più pericoloso è invece il nazionalismo anti-liberale che il Cremlino ha risvegliato, che sarà in ogni caso un problema con il quale il mondo occidentale dovrà fare i conti, indipendentemente dalla fine che farà il presidente russo.

Premesse errate conducono a soluzioni altrettanto errate se non controproducenti
Quello che ha scritto Tatyana Stanovaya su Foreign Policy non è certo nuovo e riporta alla ribalta il classico problema di quanto l’Occidente, sia a livello politico che mediatico, ma anche analitico, con think tank e accademici che tendono sempre più spesso a declinare i loro studi a seconda di chi li commissiona, sia carente nella disamina delle vicende russe. Cosa che pone il problema non indifferente delle misure, politiche, da adottare per contrastare la strategia del Cremlino: premesse errate conducono a soluzioni errate e talvolta controproducenti. Oltre tre mesi di guerra dovrebbero aver insegnato che il conflitto, iniziato nella sua prima fase nel 2014, dopo quello che a Mosca è stato considerato un colpo di Stato avallato da Stati Uniti ed Europa, e proseguito dal 24 febbraio scorso con l’invasione dell’Ucraina, è parte fondamentale del duello geopolitico tra Russia e Usa, con l’Europa al traino in ordine sparso. Limitarlo alla volontà neo-imperialista, cioè di conquista, di Putin significa estrapolarlo dal contesto entro il quale deve essere trovato il bandolo della matassa per risolverlo. Il vero problema è che la narrazione occidentale tende a nascondere volutamente la fondamentale cornice di quello che è accaduto negli ultimi 30 anni sul largo fronte dei turbolenti rapporti tra Mosca e Washington, alla guida della Nato, per non parlare dei dettagli nascosti, e in tempo di guerra preferisce appiattirsi tra veline e autocensura ai cliché di una Russia dove il dittatore è gravemente malato, sono in atto purghe dovute a una disastrosa campagna militare e il popolo sta per sollevarsi facendo ritornare indietro il calendario oltre mezzo secolo, quando a Mosca regnava Boris Yeltsin e l’Occidente raccontava di una Russia democratica. A proprio uso e consumo.