Guerra in Ucraina: perché la diplomazia rimane al palo

Armando Sanguini
12/03/2022

Kyiv e Mosca si conoscono troppo bene per arrivare a un abbozzo di compromesso. Nello stallo diplomatico, il via vai di volenterosi quanto ambiziosi mediatori non aiuta. E Putin pretende di essere il protagonista di un eventuale accordo, magari assistito da Xi Jinping. L'analisi.

Guerra in Ucraina: perché la diplomazia rimane al palo

Mi si chiede perché i negoziati tra Mosca e Kyiv rimangono sempre a un punto morto e se le cose potrebbero cambiare solo con la Cina al tavolo. Sono due belle domande alle quali sarebbe molto facile rispondere se non si dovesse obbligatoriamente attendere l’unica risposta vera, quella cioè che verrà, prima o poi, fra i due principali contendenti: l’aggressore, Putin, l’aggredita Ucraina. Che non sembrano ancora inclini a farlo e continuano a ostentare una sconcertante perentorietà nelle rispettive posizioni:

  • Con la robusta sollecitazione all’Occidente perché dimostri concretamente la sua solidarietà nei valori comuni assortita al rifiuto a qualsivoglia concessione e anzi alla reiterata, pubblica richiesta di una no-fly zone da parte di un Occidente che non se lo vuole/può permettere.
  •  Con le percuotenti pretese dell’aggressore che investono la sovranità stessa del Paese, la sua neutralità, l’indipendenza del Donbass, la liberazione dal nazismo interno. E ciò mentre è sotto attacco l’affaccio dell’Ucraina al mare. È vero, la storia non fa sconti e ora si paga il conto di tanti errori e tante omissioni del passato (espansione della Nato, accordi di Minsk II e così via). Ma il passato spiega, non giustifica.
Perché i negoziati tra Kiev e Mosca restano a un punto morto
Volodymyr Zelensky, Emmanuel Macron e Vladimir Putin a un incontro all’Eliseo sull’Ucraina nel 2019 (Getty Images).

L’indignazione per l’attacco russo fa perdere lucidità

Anzi, l’indignazione che proviamo, in molti, per l’attacco russo, ci induce a esaltare il comportamento della popolazione ucraina, fino a definirlo “eroico”, tra la resistenza armata degli uomini e la fuga delle donne chiamate a proteggere i loro piccoli e gli anziani. E ci induce anche a credere alle necessarie bugie di guerra di fonte ucraina mentre magari rigettiamo come plateali bugie alcune verità russe. Intanto però il nodo scorsoio delle forze armate russe si va restringendo e pensiamo con sgomento a quante potranno essere ancora le vittime e le distruzioni. Magari anche a opera di giovani reclute russe, vittime obbedienti della criminale stupidità della guerra e dei loro capi.

Ucraini e russi si conoscono troppo bene per aprire al compromesso

Si continua a evocare la panacea del dialogo e della diplomazia ma facciamo fatica a usare la parola “compromesso” che del dialogo e della diplomazia è il pilastro e il possibile sbocco positivo quando filtrato attraverso la conoscenza della grammatica e della sintassi gli uni degli altri. E l’Ucraina e la Russia versano in condizioni ideali a questo riguardo: per l’intreccio della loro storia, per l’impasto dei loro ingredienti culturali che noi facciamo fatica ad apprezzare fino in fondo. È pur vero che Volodymyr Zelensky è un attore prestato alla politica, ma è un purosangue ucraino che conosce bene i suoi interlocutori-nemici; così come l’autocrate Vladimir Putin conosce bene gli ucraini. Penso che qui stia la fondamentale pietra d’inciampo: si conoscono troppo bene per aprirsi all’esplorazione stessa della prefazione di un futuro compromesso. Putin sa che la sua mortifera aggressione armata del Paese è stata lenta, deliberatamente, per non compromettere i resti della tanto evocata “fratellanza”, ma resta inesorabile, forse anche al di là del suo obiettivo iniziale.

La difficile strada della diplomazia tra mOsca e Kiev
Volodymyr Zelensky (Getty Images).

Il disappunto di Zelensky per il via vai di mediatori ambiziosamente volenterosi

Zelensky sa di essersi tagliato diversi ponti alle spalle – a Ovest e a Est – e osserva con malcelato disappunto lo sterile via vai di “mediatori”, ambiziosamente volonterosi come Emmanuel Macron, ma inadeguati alla bisogna che potrebbero sostenerlo. Da ultimo, in occasione degli incontri di Antalya che Recep Tayyp Erdogan si era illuso di potersi appuntarsi al petto come una benemerenza. Per non parlare del vertice del Consiglio europeo improvvidamente tenutosi nella sfarzosa cornice del castello di Versailles.

Perché i negoziati tra Kiev e Mosca restano a un punto morto
Xi Jinping, Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan al G20 del 2017 ad Amburgo (Getty Images).

Putin vuole essere protagonista dell’eventuale accordo preferibilmente accanto a Xi Jinping

Putin, che in questi ultimi cinque mesi ha occupato le prime pagine della cronaca internazionale come non succedeva da tempo immemorabile, vuole restare tra i tre grandi del mondo. Anche per quanto riguarda la questione ucraina, la prima grande crisi della seconda Guerra Fredda. Il compromesso lo vuole tirar fuori lui con Zelensky ma sullo sfondo dell’assistenza diretta o indiretta di almeno uno dei due, preferibilmente Xi Jinping che condivide con lui la visione dell’attuale e futura multipolarità e può offrire più di una sponda di riparo all’urto delle sanzioni. Zelensky sa che rischia molto, forse tutto. E il tempo non lavora per lui. Ci ricorda anzi la drammatica attualità e verità del verso dantesco “poscia più che il dolor, poté il digiuno”. Mi domando se non sia venuto il tempo di cominciare a prendere davvero le misure di un orizzonte tracciato su un innovativo foglio di sicurezza europea. Che valga globalmente, cioè erga omnes.