Dopo l’addio di McDonald’s e Coca Cola alla Russia di junk restano solo i titolo di Stato
Da un lato McDonald's, Coca Cola e Starbucks lasciano la Russia a causa della guerra in Ucraina, dall'altro le agenzie di rating annunciano il default imminente del Paese. L'unica 'spazzatura' rimasta a Mosca è quella dei titoli di Stato.
Stop ai Big Mac. Niente Coca-Cola e cappuccini targati Starbucks. Il pollo di Kentucky Fried Chicken per ora rimane, per quanto non si sa. I colossi del fast food scappano dalla Russia, conseguenza dell’invasione all’Ucraina. Forse più per le pressioni internazionali o per quelle corse sui social che per reale convinzione. McDonald’s d’altronde era arrivato a Mosca agli inizi degli Anni 90, ai tempi dell’Urss e da allora aveva aperto 850 punti vendita, per una cifra complessiva di 62 mila dipendenti. Oggi, pur con le saracinesche abbassate, continuerà a pagarli tutti ha fatto sapere la multinazionale nel comunicato con cui annunciava la chiusura: «Perché nella crescita del marchio hanno messo il cuore e l’anima». Con l’invasione del tank del Cremlino in Ucraina, tuttavia, non c’erano molte altre possibilità: «Non possiamo ignorare l’inutile sofferenza umana di questi giorni», ha scritto il presidente e Ceo Chris Kempckinski in una lettera aperta ai dipendenti. E questo nonostante i profitti: il 9 per cento del totale, circa 2 miliardi di dollari, viene proprio dalla Federazione. Starbuck’s invece ha sospeso tutte le sue attività commerciali nel Paese, compresa la spedizione dei suoi prodotti e i suoi bar gestiti da terzi.
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Le pressioni social contro McDonald’s e Coca-Cola
Lo scorso weekend l’hashtag #BoycottMcDonalds era entrato in tendenza su Twitter, lo stesso era capitato a Coca cola. Indizi che un danno di immagine che sarebbe diventato ingestibile. Discorso identico, ma per ragioni ovviamente diverse, riguarda anche l’Ucraina, dove i punti vendita McDonald’s sono circa 100. Viene così definitivamente smentita la teoria McDonald’s elaborata nel 1996 dall’editorialista del New York Times Thomas Friedman: «Due Paesi che hanno entrambi un McDonald’s non hanno mai combattuto una guerra uno contro l’altro».

Ora in Russia di junk restano solo i titolo di Stato: il Paese verso il default
Dopo l’addio dei marchi del fast-food, simbolo dell’Occidente e della globalizzazione, di junk in Russia restano solo il debito e i titoli di Stato. Il 3 marzo le agenzie di rating Fitch e Moody’s avevano declassato la Russia nella categoria dei Paesi che rischiano di non poter rimborsare il debito. Moody’s aveva abbassato il proprio giudizio sul debito a lungo termine da Baa3 a B3, mantenendolo sotto osservazione viste le sanzioni imposte dai Paesi occidentali. Stessa cosa per Fitch che aveva abbassato il rating da BBB a B, con outlook negativo. Oggi è arrivata una ulteriore stangata. Fitch ha declassato il rating di default della Russia da B a C, giudizio che, ha spiegato l’agenzia in una nota, «riflette l’opinione secondo cui un’insolvenza sovrana è imminente». In altre parole la Russia è sull’orlo del default. Come se non bastasse, mercoledì è arrivato pure l’annuncio di un ulteriore inasprimento delle sanzioni. L’Ue ha deciso di allargare le misure contro Mosca e Minsk scollegando tre banche bielorusse dallo Swift. Previste poi nuove sanzioni contro il settore marittimo e le criptovalute, mentre si allunga la black list degli oligarchi.
Gli Usa e il Regno Unito bloccano le importazioni di petrolio
Cattive notizie anche dal versante anglo-americano. «Il rublo vale meno di un penny», ha detto ieri il presidente Usa Joe Biden nella conferenza in cui ha annunciato lo stop di importazioni di gas e petrolio da Mosca. «Sappiamo che i nostri alleati europei non possono fare una mossa simile. Ci vorrà tempo», ha aggiunto Biden. Quello che Mosca non può permettersi di sprecare.