Russia, è partita la corsa alla successione di Putin: chi sono i possibili eredi

Matteo Innocenti
13/08/2022

Da una parte i falchi, capaci di fare molto rumore. Dall'altra chi preferisce rimanere nell'ombra, in vista della fine della guerra in Ucraina. I possibili successori di Vladimir Putin stanno adottando strategie diametralmente diverse.

Russia, è partita la corsa alla successione di Putin: chi sono i possibili eredi

Com’è noto l’ultimo zar, quello vero, fece una brutta fine. Nicola II fu giustiziato il 17 luglio a Ekaterinburg, insieme alla sua famiglia. L’impero di Vladimir Putin molto probabilmente non terminerà così, nonostante voci in tal senso non siano mancate dall’inizio della guerra in Ucraina. Al pari di quelle su una grave malattia che avrebbe colpito il presidente della Federazione Russa. Ma prima o poi, una fine ci sarà: nessuno è eterno, figuriamoci politicamente. Chi sarà, dunque, l’erede di Putin?

Prima di guardare avanti, facciamo un passo indietro. Ad aprile 2021, Putin ha firmato una legge che permette al presidente della Russia di candidarsi per quattro mandati consecutivi, mentre prima il limite era fissato a due. Dato che l’attuale mandato scade nel 2024 e che la durata di ognuno è di sei anni, potenzialmente potrebbe rimanere in carica fino al 2036. Putin aveva già servito due mandati consecutivi come presidente dal 2000 al 2008 (all’epoca il mandato era di quattro anni), ricoprendo poi la carica di primo ministro fino al 2012: in questo periodo era stato sostituito al Cremlino il delfino (oggi decaduto) Dmitry Medvedev.

Rumore o silenzio: le strategie opposte dei possibili successori

Se il presidente Vladimir Putin avesse ottenuto la rapida vittoria su cui contava, quando il 24 febbraio ha ordinato l’invasione dell’Ucraina, chiaramente avrebbe consolidato il consenso. La sua “operazione speciale” si sta invece trascinando da cinque mesi e mezzo, senza un esito all’orizzonte. In più, dalla modifica costituzionale molta acqua è passata sotto i ponti e una nuova candidatura di Putin non è più così scontata. In vista del 2024, ma chissà che qualcosa non possa accadere anche prima, la corsa alla sua successione è di fatto già iniziata. E i possibili eredi dello zar stanno adottando, di fatto, due strategie differenti: rumore o silenzio. Da una parte i falchi, certi che il successore di Putin sarà scelto proprio dall’attuale presidente. Dall’altra chi preferisce rimanere nell’ombra, sicuro che il nuovo leader sarà selezionato dall’élite russa. E in ogni caso, valutano i “silenziosi”, la guerra in Ucraina finirà e le relazioni con l’Occidente andranno ripristinate: coloro che non hanno insultato i “Paesi ostili” o partecipato direttamente alla campagna militare godranno di una posizione migliore.

Russia, chi sono i possibili eredi del presidente Vladimir Putin e la loro strategia dall'inizio della guerra in Ucraina.
2011, un incontro tra l’allora presidente Dmitry Medvedev e Sergei Kiriyenko, all’epoca a capo dell’Agenzia federale per l’energia atomica (VLADIMIR RODIONOV/AFP via Getty Images)

I falchi che appoggiano apertamente le politiche di Putin

«Dopo Putin ci sarà Putin», ha detto il falco Vyacheslav Volodin. Ex assistente di Putin e in passato segretario del partito Russia Unita, dal 2016 è il presidente della Duma. Dall’attacco all’Ucraina ha intensificato i suoi interventi pubblici, appoggiando a più riprese l’indipendenza delle repubbliche separatiste del Donbass. A un certo punto, ha persino minacciato gli Stati Uniti: «Si ricordino che l’Alaska è nostra, possiamo riprendercela». Un’altra figura “rumorosa” è Sergei Kiriyenko, che prima non aveva mostrato alcuna inclinazione per le luci della ribalta: inserito nel 2020 nella lista di 6 persone sanzionate dall’Ue per l’avvelenamento di Alexei Navalny, gli è stata affidata la responsabilità della supervisione delle repubbliche separatiste. E l’ha colta putinianamente in pieno, parlando apertamente di denazificazione dell’Ucraina. Non solo: nel Donbass ha inaugurato un monumento a “Nonna Anya”, l’anziana che i russi hanno cercato di trasformare in un simbolo della “liberazione” ucraina. Occhio poi al capo del Consiglio di Sicurezza Nikolaj Patrušev: in un’intervista ha detto che «la Russia nell’operazione speciale non insegue dei termini cronologici» e che «se non si sradica il nazismo al 100 per cento, tra qualche anno rialzerà la testa». Nonostante il fallimento della guerra lampo, un altro papabile sarebbe l’attuale ministro della Difesa Sergej Shoigu. Putiniano di ferro e nostalgico del comunismo, nel 2017 ha fatto modificare le uniformi dell’esercito ispirandosi a quelle della Seconda guerra mondiale: Putin non lo ha mai criticato. Il più rumoroso tra i suoi possibili eredi è però chi è già stato al Cremlino: Dmitry Medvedev, il delfino caduto in disgrazia, oggi declassato a vicepresidente del Consiglio di sicurezza. I suoi commenti sulle questioni di politica estera, esagerati al punto da sembrare comici, strizzano spudoratamente l’occhio allo zar Vladimir.

Russia, chi sono i possibili eredi del presidente Vladimir Putin e la loro strategia dall'inizio della guerra in Ucraina.
Mikhail Mishustin, primo ministro della Federazione Russa (DMITRY ASTAKHOV/Sputnik/AFP via Getty Images)

Le figure che preferiscono invece mantenere un basso profilo

Il primo ministro Mikhail Mishustin e il sindaco di Mosca Sergei Sobyanin, entrambi considerati contendenti per la successione di Putin, dall’invasione dell’Ucraina hanno cercato di tenere un basso profilo. Magari non proprio colombe, ma di sicuro non falchi. Sobyanin a marzo ha presenziato alla grande manifestazione allo stadio Luzhniki di Mosca e a giugno si è recato nella Repubblica Popolare di Lugansk, ma non è ancora stato fotografato con indosso la tuta dell’esercito e non ha fatto dichiarazioni sulla repressione del nazismo. Mishustin, nel frattempo, ha evitato del tutto l’argomento della guerra. Lontano dai circoli che contano e dalle alte sfere delle forze armate e dell’intelligence, Misustin è il classico uomo-ombra del presidente: in ottica presidenziali, il suo silenzio è forse persino eccessivo. E poi c’è Aleksandr Bortnikov, ovvero il capo del Servizio federale per la sicurezza, l’FSB. Anche lui è rimasto in silenzio, mentre in tanti si sono concessi dichiarazioni più o meno bellicose, negli ultimi cinque mesi. Infine, Aleksej Djumin, vicinissimo a Putin ma estremamente cauto dallo scoppio del conflitto. Generale a tre stelle, ha fatto carriera ai tempi dell’annessione della Crimea nel 2014 ed è stato insignito del titolo di “eroe” della Federazione Russa: dal 2016 è governatore dell’oblast’ di Tula. Da dove guarda con interesse a Mosca.