Le ripercussioni della guerra in Ucraina nel Caucaso
Mentre Mosca è impegnata sul fronte ucraino, nel Nagorno-Karabakh l'Azerbaigian ha rotto il cessate il fuoco e l'Armenia teme un disimpegno russo nell'area. La Georgia, invece, preoccupata per l'escalation guarda a Occidente. Lo scenario.
La guerra in Ucraina potrebbe avere ripercussioni su un altro fronte caldo per la Russia: il Caucaso meridionale. Un’area in cui Mosca è storicamente in competizione con Ankara e dove, vista la difficoltà che sta incontrando nell’aggressione ucraina, rischia di perdere terreno.
L’Azerbaigian ha ripreso le ostilità nel Nagorno-Karabakh
Le prime ripercussioni dell’invasione russa dell’Ucraina si stanno osservando nel Nagorno-Karabakh, enclave azera abitata da armeni. È qui che Mosca gioca buona parte della sua influenza. Dopo la vittoria di Baku su Erevan nella guerra del 2020, la Russia si è fatta garante della popolazione di etnia armena inviando dove ha inviato 2 mila peacekeeper. Un contingente che, stando ad alcune fonti, Mosca starebbe via via ritirando per dirottarlo in Ucraina. Questo disimpegno avrebbe innescato una nuova escalation nel territorio conteso. Tanto che lo scorso fine settimana, le forze azere hanno occupato il villaggio di Farrukh nel Nagorno-Karabakh. Per gli analisti, riprendendo le ostilità, Baku starebbe solo imitando la strategia russa. E cioè mangiare porzioni di territorio per poi annetterlo. Il tutto sfruttando le attuali difficoltà di Mosca in Ucraina. Il ministero della Difesa russo ha accusato Baku di aver utilizzato droni di fabbricazione turca e aver violato il cessate il fuoco minacciando di adottare nuove misure per risolvere la situazione. L’escalation e le accuse di Mosca all’Azerbaigian arrivano in un momento in cui i due Paesi stavano riavvicinandosi. Un mese fa, alla vigilia dell’invasione, il presidente azero Ilham Aliyev e Vladimir Putin avevano infatti siglato un accordo per ampliare la cooperazione militare e diplomatica. La posizione dell’Azerbaigian resta dunque ambigua. Se tradizionalmente il Paese intrattiene buoni rapporti con l’Ucraina a cui ha inviato aiuti umanitari, non ha però condannato formalmente Mosca. Baku insomma ha optato per la neutralità come dimostrato dalla mancata partecipazione al voto per espellere la Russia dal Consiglio d’Europa.

L’Armenia resta legata all’alleato Putin
L’Armenia, invece, dipende per quanto riguarda la sicurezza da Mosca. Non solo. La Russia possiede la maggior parte delle infrastrutture del Paese e una buona parte del Pil nazionale proviene dalle rimesse dei lavoratori espatriati in Russia. Insieme con Bielorussia, Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan e Russia, l’Armenia fa parte del Csto, l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, alleanza militare di difesa stretta nel 1992. Troppo saldi i rapporti con Mosca perché Everan appoggi l’Ucraina. Tanto che l’Armenia è stato l’unico Paese a votare contro la sospensione della Russia dal Consiglio d’Europa. Salvo poi astenersi nel voto di condanna dell’aggressione all’Onu.
La Georgia teme l’aggressività di Mosca
Certo è che le tre Repubbliche ex sovietiche della regione – Armenia, Azerbaigian e Georgia – temono, per ragioni diverse, l’attivismo di Putin. Restano l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia, repubbliche de facto indipendenti della Georgia e ‘liberate’ dopo la guerra del 2008, che appoggiano pienamente Vladimir Putin. Del resto Tskhinvali e Sukhumi dipendono economicamente dalla Mosca anche se recentemente il Cremlino ha tagliato gli aiuti, segno forse che la sua autorità nell’area si sta indebolendo. Stando ad alcuni video postati sui social, le due Repubbliche avrebbero inviato truppe in Ucraina per combattere al fianco dei russi. Un appoggio militare confermato da funzionari di Kyiv. «Siamo con il popolo russo», aveva ribadito il presidente dell’Abkhazia Aslan Bzhaniya l’11 marzo riconoscendo ufficialmente le due repubbliche filorusse di Lugansk e Donetsk. La filo-occidentale Tbilisi invece ha accolto oltre 5 mila sfollati ucraini, ha inviato aiuti a Kyiv ed è stata scelta da molti giornalisti dissidenti russi come base. Inoltre il 3 marzo scorso ha presentato la richiesta ufficiale per entrare in Ue, seguita a ruota dalla Moldavia preoccupata per le possibili mire russe in Transnistria.

Negli ultimi anni la Georgia ha cercato in ogni modo di evitare attriti con Mosca, negando addirittura l’ingresso a esponenti dell’opposizione russa. Un mese fa il primo ministro georgiano Irakli Garibashvili aveva definito le sanzioni occidentali «un mezzo inefficace», impedendo a 60 volontari georgiani di raggiungere l’Ucraina. Kyiv in risposta aveva richiamato il proprio ambasciatore in Georgia. Toni molto diversi da quelli usati il 24 marzo scorso quando nel suo intervento in occasione della cerimonia per i 30 anni di relazioni diplomatiche con gli Usa, aveva attaccato duramente la Federazione russa. «La guerra ha scosso non solo la sicurezza, la stabilità e la pace regionali, ma anche globali», aveva tuonato Garibashvili. «Per la nostra nazione, invasa dalla Russia nel 2008 e con il 20 per cento di territorio tuttora occupato, non c’è alternativa alla pace». Il timore è che l’isolamento di Putin lo spinga a lanciare anche in Caucaso una nuova offensiva, sebbene le truppe siano occupate su un altro fronte. In altre parole, come ha spiegato al Moscow Times Hans Gutbrod, docente all’Ilia State University della Georgia ed esperto di Caucaso, «ora il Cremlino ha meno ragioni per trattenersi e potrebbe aver bisogno di riaffermare la sua autorità nel Caucaso. Il Rubicone è stato attraversato».