Se la guerra finisse oggi, a vincerla sarebbe Vladimir Putin. Basta guardare la cartina geografica dell’Ucraina e vedere l’espansione della Russia da febbraio, con i territori conquistati in parte negli oblast di Lugansk e Donetsk, già occupati dopo l’avvio del conflitto nel 2014, e quelli parziali di Zaporizhia e Kherson, ora in mano ucraina ma al freddo e al buio, con la strategica striscia di terra che dal Donbass collega la Crimea. Il Cremlino inoltre ha annesso (solo) ufficialmente le aree sotto il proprio controllo alla fine di settembre. Dall’altra parte Volodymyr Zelensky si trova con il Paese ancora più lacerato rispetto al 24 febbraio scorso e soprattutto devastato quasi in ogni angolo. Gli aiuti e la collaborazione militare con l’Occidente hanno permesso all’esercito di Kyiv di resistere prima e contrattaccare dopo, ma la fotografia all’inizio di dicembre restituisce un quadro che – al netto della propaganda e delle rispettive situazioni economiche politiche e sociali in Russia e Ucraina – è favorevole a Putin.

L’apertura di facciata di Mosca su possibili trattative
Il punto è che la guerra non può finire oggi: in parte per il Cremlino, i cui obiettivi militari, pur non definiti in maniera precisa, prevedevano e prevedono ancora una maggiore avanzata territoriale nonostante siano stati ridimensionati dall’autunno con le ritirate a sud di Kharkiv e a Kherson; e per Kyiv che non può accettare una fine in questi termini del conflitto. Gli obiettivi dichiarati sono quelli della riconquista dei territori persi non solo a partire dal 2022, ma anche dal 2014, Crimea compresa. Mentre sul lato russo, almeno a parole, è stata segnalata la disponibilità a negoziare – anche oggi Putin ha affermato che nonostante «la fiducia sia a zero» alla fine «sarà necessario raggiungere un accordo per porre fine ai combattimenti in Ucraina» – su quello ucraino, sempre a parole, la linea è stata sempre quella che ogni trattativa sarà aperta dopo il ritiro delle truppe russe: il che implica appunto una sconfitta militare di Mosca dal Donbass al Mar Nero prima che si arrivi a negoziati.
La possibile soluzione del conflitto passa da Washington
È evidente comunque che una risoluzione del conflitto, non un semplice armistizio, ma una pace duratura con la ricostruzione del sistema di sicurezza in Europa, passerà attraverso gli Stati Uniti, il principale alleato dell’Ucraina. L’Unione europea, politicamente e militarmente al traino di Usa e Nato, ha perso ormai ogni autonomia d’azione, nel caso ne avesse mai avuta una. Singoli Paesi, come la Germania e la Francia, potranno avere un ruolo importante nella fase, quando arriverà, di ricomposizione dei rapporti con la Russia. La questione primaria è però quella della tregua provvisoria e di uno stop alla guerra che salvaguarderebbe in primo luogo la popolazione civile ucraina. La retorica del Cremlino e della Bankova, che hanno in ogni caso canali di comunicazione aperti, ostacola i tentativi di mediazione internazionale e a Washington i segnali verso Kyiv vanno a corrente alternata: per ora Joe Biden non ha fornito una strategia concreta che si differenzi davvero dalla linea di Zelensky.

Mancano per ora le basi per la diplomazia
Russia e Stati Uniti non hanno nessun interesse che il conflitto si allarghi e si arrivi all’escalation nucleare, allo stesso tempo è mancata la volontà di cercare un’exit strategy comune. Anche tra il Cremlino e la Casa Bianca la comunicazione è attiva, si è limitata però sino a ora a evitare nuovi problemi piuttosto che tentare di risolvere quelli esistenti. I colloqui a vari livelli, gli screzi emersi tra Washington e Kyiv, ultimo quello sul missile ucraino finito in Polonia, così come il recente scambio di prigionieri, indicano comunque che lo stallo non è cementato. L’inverno ha già rallentato le operazioni militari, a eccezione della battaglia di Bakhmut, nel Donbass, dove la Russia vorrebbe raggiungere una vittoria sul campo, ma l’esercito ucraino resiste. Da qui a primavera potrebbe inoltre aprirsi una finestra per la diplomazia. Resta da vedere su quali basi, senza dimenticare che quello in corso è il secondo tempo del conflitto apertosi nell’aprile del 2014 come operazione antiterroristica del governo di Kyiv per riportare sotto il proprio controllo le repubbliche indipendentiste di Lugansk e Donetsk. Il primo tempo è durato otto anni.