Dopo l‘inizio dell‘invasione russa il consenso di Vladimir Putin è salito di 12 punti, dal 71 all‘83 per cento, e il partito del presidente Russia unita ha ritrovato nei sondaggi la maggioranza assoluta, con il 54 per cento. Le prossime elezioni presidenziali sono nel 2024, quelle per il parlamento nel 2026; non proprio dietro l’angolo e sicuramente adesso nemmeno la prima preoccupazione per il Cremlino, impegnato in quella che sembra stia diventando una guerra totale in Ucraina, anche se è ancora da capire qual è l’obiettivo militare, minimo, che intende raggiungere.
Il 53 per cento dei russi appoggia pienamente la guerra in Ucraina
I dati relativi a marzo 2022 forniti dal Levada Center danno comunque il polso di come sta reagendo la società russa nel suo complesso, con una stragrande maggioranza che appoggia la guerra (53 per cento pienamente, 28 per cento abbastanza) e una minoranza che la condanna. Le sanzioni occidentali stanno impensierendo la popolazione più di prima (la Russia è stata sanzionata in vario modo dal 2014), e il 46 per cento di russi è molto o abbastanza preoccupato (il 32 per cento lo era a dicembre del 2021), ma la fotografia attuale è appunto momentanea e suscettibile di rapidi cambiamenti. Molto dipenderà da come si svilupperà il conflitto e dagli eventuali mutamenti al Cremlino e dintorni. La stabilità di Putin al momento non è dunque in discussione. È evidente però che la rapida involuzione del sistema, con il presidente che ha concentrato il potere su di sé ipotecando il suo futuro sulla guerra, potrà condurre a scenari opposti, a seconda degli esiti. E così se dal punto di vista della leadership russa la vittoria militare nell’ex repubblica sovietica è fondamentale, così la sconfitta di Putin, militare e politica, è l’obiettivo dell’Ucraina e dei suoi alleati occidentali, guidati dagli Stati Uniti e dalla Nato. La guerra è insomma a più livelli e non si tratta solo di un conflitto tra i due Paesi, ma tra Russia e Occidente. Uno scontro che avrà per forza di cose riflessi sul futuro della distribuzione sia dei pesi nel mondo che di quelli interni russi.

A Mosca attesa una nuova stretta autoritaria
Con l’escalation militare a cavallo tra la fine del 2021 e l’inizio di quest’anno e poi con la decisione di dare inizio dell’invasione dopo il fallimento della diplomazia coercitiva, gli equilibri di Mosca si sono spostati definitivamente a favore dei falchi; dopo sei settimane di guerra e anche qualche errore di valutazione sulla capacità difensiva ucraina, non pare comunque che vi siano dissonanze nella leadership, allargata, che da un lato ha rinserrato le fila, dall’altro continua a dare giri di vite in senso autoritaristico, aumentando il controllo sulla popolazione e reprimendo le voci dissenzienti. Per ora non ci sono segnali di imminenti rivolte popolari, anzi, come spesso accade, un Paese isolato e sanzionato trova la grande maggioranza della popolazione pronta a sostenere i propri governanti, soprattutto se questi hanno il monopolio, o quasi, dei mezzi di informazione. Il caso russo è classico. Andando avanti in questa direzione Putin e i siloviki, gli uomini chiave nell’apparato amministrativo, militare e d’intelligence, proseguiranno con una gestione interna sempre più repressiva, che difficilmente sarà allentata anche nel caso di un successo militare in Ucraina. La direzione scelta dal Cremlino posiziona quindi la Russia accanto alla Cina in opposizione all’Europa e agli Stati Uniti, con un ritorno alla divisione in blocchi tipica della Guerra fredda.

Un cambio di regime per ora è l’ipotesi meno realistica
C’è però anche lo scenario opposto, quello appunto di una sconfitta militare russa o comunque di una non-vittoria che, aggiunta alla guerra delle sanzioni sempre maggiori, potrebbe destabilizzare in maniera decisiva il Paese, facendolo di fatto crollare, e costringendo i poteri forti dentro e fuori il Cremlino a trovare una nuova squadra al comando. Ipotesi piena di incognite e variabili e tutto sommato molto meno realistica della prima. Almeno al momento.