La seconda campagna d’Ucraina è ormai incominciata e sarà molto russa, nel senso che Varlam Salamov concede al termine descrivendo una grande caserma dell’estrema Siberia abbandonata dalle truppe e destinata a ospedale per detenuti del gulag. Tutti i tubi dell’acqua e degli scarichi divelti, mobili e porte bruciati, le pareti distrutte. «Il reggimento della Kolyma se ne era andato alla russa», scrive Salamov ne I racconti della Kolyma. La distruzione totale dell’Ucraina dell’Est con artiglierie e missili a lunga gittata è incominciata. Della guerra a più livelli che il presidente russo Vladimir Putin ha scatenato il 24 febbraio questa della terra bruciata è l’unica che, inevitabilmente, sta vincendo. Ed è quella che più di tutte sta scavando un profondo fossato, la nuova cortina di ferro del terzo millennio.

La Russia va incontro a un «futuro buio come il suo passato più buio»
Il confronto con le forze militari ucraine, sul terreno, è più perso che vinto. L’isolamento diplomatico è totale, verso Ovest. Il fronte occidentale sulle cui divisioni Putin ha scommesso è invece più che solido, nonostante tutto, sul rifiuto di questa Russia putiniana. L’economia russa ha un cappio al collo e il ricatto delle materie prime, gas per primo, ha dei limiti, perché Mosca con le sanzioni ha bisogno dei bonifici del gas venduto a noi quasi quanto noi abbiamo bisogno, per ora, del suo gas. Resta solo la guerra del terrore sulla popolazione civile e la distruzione totale di una nazione, o parte di essa, che ha osato sui confini della Russia guardare a un altro modello e ad altre prospettive. «Attaccando un altro Paese europeo Putin ha infranto una linea tracciata dopo la Seconda Guerra mondiale, e ha cambiato il mondo», dice ora Nina L. Khrushcheva, la pronipote di Nikita, da molti anni negli Stati Uniti dove insegna a New York. «Ma ha anche cambiato la Russia, da autocrazia funzionante a dittatura stalinesca». E ancora: «Siamo i nuovi fascisti d’Europa…e siamo diventati i nemici del mondo». Ciò che accadrà dopo questo in Ucraina, in Europa e altrove è ancora da sapere. «Ma la conseguenza per la Russia è già ovvia: un futuro buio come il suo passato più buio», conclude Khrushcheva.

Gli errori di valutazione di Putin e del suo cerchio magico
Sostanzialmente sono d’accordo molti dei più noti esperti di Russia. La tedesca Sabine Fischer, a capo dell’analisi russa nella Stiftung Wissenschaft und Politik (Istituto tedesco per gli studi internazionali e della sicurezza, ente federale), dal 2001 a Berlino, ritiene che molto abbia giocato una visione sbagliata della realtà occidentale da parte di Putin e del suo circolo. Pensavano a un fronte atlantico confuso, non disposto a reagire, diviso. Quattro elementi hanno pesato, dice Fischer: la disastrosa uscita americana e Nato da Kabul, la situazione interna degli Stati Uniti dopo l’altrettanto disastrosa invasione del Congresso da parte di bande trumpiane sfegatate 15 mesi fa, e l’inevitabile parentesi del potere a Berlino e Parigi, con il cambio della guardia al governo e il voto presidenziale francese. Più di tutto questo, dice Fischer, ha pesato poi il 2014 della Crimea. Quando Putin ne riportò gran parte sotto la Russia strappandola all’Ucraina la reazione fu blanda. «Obama si voltò dall’altra parte», ha osservato recentemente il Nobel per la letteratura turco Orhan Pamuk, attento all’area del Mar Nero. «Solo che la Crimea non è l’intera Ucraina, la guerra in Crimea era per la Crimea, la guerra in Ucraina è per l’Europa», conclude Fischer.

Il vaticinio di Gessen: dopo l’Ucraina potrebbe toccare alla Polonia
Il giornalista e saggista russo-americano Misha Gessen sostiene che «Mosca non è tanto in guerra con l’Ucraina, quanto con gli Stati Uniti». E le richieste diplomatiche presentate da Mosca a dicembre alla Nato e quindi in primis a Washington, richieste di arretramento di ogni vera installazione Nato alle linee del 1997, lo confermano. Sono richieste massimaliste, osserva ancora Khrushcheva, e sarà quindi difficile per Putin accettare meno senza perdere la faccia. Così come è stato impossibile per l’Occidente accettarle. Gessen è molto pessimista: «Questo che vediamo è destinato a continuare anche nell’Ucraina occidentale, ed eventualmente anche in Polonia». È un vaticinio che gela il sangue, perché la Polonia è Nato, ma è anche la terra che Mosca ha sempre considerato in parte “sua”, dominandone a lungo la parte orientale fino alla Prima Guerra mondiale, cercando di riprendersela con la nuova Armata Rossa nel 1919-1920 in nome della Rivoluzione proletaria, e riprendendosela di nuovo nel settembre 1939 mentre l’alleato Hitler si prendeva la parte occidentale, avviando così quel disastro europeo che fu la Seconda Guerra mondiale. Che fu invece, morti a parte (ma il peso della vita umana varia sotto i cieli), un momento di gloria per la Russia alleata ora degli anglosassoni, riportandola con Stalin a dimensioni territoriali mai viste dai tempi di Caterina II e a un impero di satelliti esteso fino al cuore dell’Europa. Tra l’altro, nota che aiuta a capire il Paese: a scuola i bambini russi imparano che la Seconda Guerra mondiale è incominciata nel giugno del 1941, quando Hitler attaccò l’Urss, perché se fosse il settembre 1939 come dice il resto del mondo vorrebbe dire che il conflitto peggiore fu scatenato, insieme, da nazisti e stalinisti.

L’ansia di Mosca di controllare sempre più territori come garanzia di sicurezza
Che farà ora Putin? «I russi sono disposti a pagare un prezzo alto per ciò che ritengono importante», è il giudizio di uno dei più informati sulla Russia tra i politici Ue, e su Putin, suo interlocutore abituale, il presidente finlandese Sauli Niinistö. Quello che per i russi è importante ce lo dice la Storia, che a giuste dosi è illuminante. Sembra strano per quello che è di gran lunga il Paese più esteso del mondo, circa 17 milioni di chilometri quadrati (56 volte l’Italia) contro i circa 10 del secondo, il Canada, ma Mosca ha sempre avuto l’ansia di controllare territori e di accrescerne il numero, vedendo in questo la migliore garanzia di sicurezza. E ignorando sempre, più o meno, tutte le garanzie che vengono da altri punti di forza, primo il benessere dei cittadini e l’attrattiva di questo sugli stranieri, il soft power. Esisteva solo, ideologico, negli anni del comunismo e solo attraverso il comunismo, fino a quando anche qualcuno fra i molti distratti, con i processi staliniani degli Anni 30, ha incominciato a riflettere. La Russia ha toccato lo zenith tre volte, con Pietro il Grande quando sostituì la Svezia come potenza del Nord e poi con Caterina II, con Alessandro I quando contro Napoleone arrivò a Parigi, e con Stalin. Ma ha perso anche varie guerre, dalla Crimea che chiuse le sue glorie anti-napoleoniche (1853-56) a quella contro il Giappone che segò la crisi zarista (1904-1905), alla Guerra Fredda, “combattuta” a lungo e persa, in modo saggiamente incruento, con la rinuncia, oltre che all’impero dei “satelliti”, ad oltre 4 milioni di chilometri quadrati di territorio russo, andato a repubbliche indipendenti, tra cui l’Ucraina.
Perché è inutile sperare in un golpe di palazzo contro Putin
Inutile sperare in un golpe di palazzo, o in una rivolta delle masse, dice Gessen. Il nazionalismo russo, forza potente, è con Putin, con varie gradazioni. Putin vuole essere, come il suo vero idolo Caterina II (1729-1796, prussiana e tedeschissima), un “raccoglitore di terre” e un restauratore dell’Impero. Per i russi come lui, e così era nell’era tardo stalinista, la presenza in Europa degli Stati Uniti è un controsenso. Nei piani tra il 1941-1947 di Stalin c’era spazio per una sola potenza militare sul continente, la sua, con Londra potenza marittima e dedita all’Impero. Neppure per una Francia forte c’era posto, dicono precisamente i documenti. E invece è venuta la Nato, ora ai confini di quel che resta (ma è sempre un’enormità) dell’Impero.

La lezione della Finlandia
Per questo Putin vuole ricacciare indietro la Nato. E noi? Per tratteggiare il nostro futuro faremmo bene, purtroppo, a guardare la Finlandia, che ha sempre cercato di avere buoni rapporti con Mosca, anche dopo il 1991, quando avrebbe potuto farne a meno. Ma è sempre pronta ad accogliere comme il faut chiunque si presentasse senza invito. «Abbiamo probabilmente la migliore artiglieria d’Europa, e possiamo mettere in linea in brevissimo tempo 300 mila riservisti», ha detto Niinistö. Con 9 miliardi di euro sono stati acquistati 64 F-35. E la classe politica e il Paese pensano a un ingresso nella Nato. Niinistö ha ricordato giorni fa la risposta di Putin, nel 2016, a un giornalista finlandese che chiedeva come avrebbe reagito a un ingresso di Helsinki nella grande alleanza militare occidentale: quando oggi guardiamo alla frontiera vediamo un finlandese dall’altra parte, fu la risposta; se entrate nella Nato, vedremmo un nemico. Eppure sarebbe sempre lo stesso finlandese. «È tutto molto chiaro», conclude Niinistö.