Quante parole, quante immagini, quante opinioni, quanti suggerimenti tattici e strategici. Da quando è iniziata l’invasione russa dell’Ucraina siamo stati letteralmente sommersi dalla marea dei media, visivi, scritti, parlati. Era inevitabile che così fosse, si dice, perché questa volta la guerra ha colpito il cuore dell’Europa, con ciò dando una lettura un po’ miope (la ex Yugoslavia docet) del corpo geopolitico del Vecchio continente europeo. Era inevitabile, si dice ancora, che l’Occidente insorgesse sugli scudi dei valori e dei principi comuni – democrazia, libertà d’espressione e così via – salvo poi dare spazio a dei distinguo sulla natura e portata della risposta all’aggressione militare; distinguo che stanno ancora in piedi visto che il quinto pacchetto di sanzioni comunque non coinvolge ancora il gas. È ancora incerto sul carbone, ma non sull’espulsione di decine di dipendenti delle ambasciate russe, troppi per essere spie acclarate.
Le immagini di morte e distruzione stridono con la vittoria prospettata da Zelensky
Siamo inorriditi dalle immagini di Bucha che fanno ripetere con ancora più enfasi al Presidente americano Joe Biden gli epiteti più insultanti nei riguardi di Vladimir Putin, mentre il Presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky fustiga l’Occidente e le Nazioni Unite perché non buttano Putin fuori dal condominio mondiale. E intanto chiede più armi – le “armi, armi, armi” sollecitate anche dal suo ministro degli Esteri – per difendersi dall’aggressione russa che si dice convinto di poter contrastare in una prospettiva di vittoria finale. Già, si parla di vittoria mentre passano le immagini di morte e distruzione di quel Paese e mentre non viene neppure più flebilmente evocata la sofferta storia ucraina dell’ultimo decennio, quasi ad evitare gli anelli della catena che hanno portato a quest’aggressione e a essere accusati di filo-putinismo.

L’Onu, la sua impotenza e l’espulsione della Russia dal Consiglio per i diritti umani
Si esalta giustamente l’eroismo del popolo ucraino che resiste, malgrado tutto. Così come si cercano di interpretare le mosse militari della Russia di Putin che in queste ore sta scaricando una tempesta di fuoco dall’area del Donbass a Odessa. Poi è arrivata l’espulsione della Russia dal Consiglio per i diritti umani. Ha vinto una maggioranza piuttosto misurata di 93 voti a favore a fronte di 82 voti tra i quali 24 contrari (tra i quali Cina, Brasile Egitto, Messico, Iran e Sudafrica) e ben 58 astenuti (tra i quali India e monarchie del Golfo). Si è parlato delle Nazioni Unite o meglio dell’impotenza di questo consesso universale di cui è da sempre noto il tallone d’Achille del diritto di veto nel Consiglio di sicurezza. Giusta la sua riprovazione, anche da parte del Santo Padre, ma nessuno dei suoi membri permanenti vuole cambiare davvero perché il veto è espressione di potere.

Mentre l’Italia lavora per una Conferenza di pace, la Nato promette più armi a Kyiv
E quindi? Una importante novità è venuta proprio dall’Italia e dal suo ministro degli Esteri Luigi Di Maio che ha dichiarato: «L’Italia sta operando su tre versanti: fermare il finanziamento all’esercito russo; raggiungere la pace; tutelare la sicurezza in Italia. L’obiettivo di una soluzione si può raggiungere anche tramite una Conferenza di pace che stiamo promuovendo. L’Italia è disponibile a rivestire un ruolo di garante: sosteniamo il negoziato, credendo molto anche nel ruolo della Turchia». Si tratta di buoni propositi non c’è dubbio, anche se lo ‘star operando…’ sembra ancora piuttosto ambizioso rispetto alla realtà che i fatti sul terreno sembrano indicare; a cominciare dalla promozione di una Conferenza di pace. E a smorzare gli entusiasmi ci ha ben pensato il Segretario della Nato Jens Stoltenberg che nella sua ansia di protagonismo è arrivato ad affermare che «daremo più armi a Kyiv…l’ambizione del Cremlino è di prendere il controllo dell’intera Ucraina e riscrivere l’ordine internazionale».

La via d’uscita: ripartire da Minsk 2 e rallentare le richieste militari dell’Ucraina all’Occidente
Intanto ciò che viene davvero riscritta è la storia dell’Ucraina con un’altra pagina di mostruosità come l’attacco missilistico alla stazione ferroviaria di Kramatorsk, città del Donetsk, che ha provocato 50 morti e più di 100 feriti e la cui responsabilità viene addebitata da Kyiv a Mosca e viceversa. Intanto la Presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen e l’Alto Rappresentante Josep Borrell stanno arrivando nella Capitale ucraina in una visita ispirata a uno spirito di solidarietà senz’altro apprezzabile ma ancora afono di proposte. Che del resto Putin non sembra ancora incline a prendere in seria considerazione nonostante il cauto ottimismo manifestato da Ankara sulla prospettiva di una disponibilità negoziale da entrambe le parti del conflitto. C’è del resto da chiedersi perché non si senta ormai più l’esigenza di ripartire da Minsk 2 (firmatari Russia, Ucraina, Francia e Germania) che disponeva l’attribuzione di una speciale autonomia al Donbass e che Zelensky fermi o rallenti la corsa al rialzo delle sue richieste militari all’Occidente rendendo di fatto più rarefatta la possibilità di una qualsivoglia pace degna di questo nome.