Gli ebrei russi temono di diventare il prossimo obiettivo del Cremlino e così stanno lasciando in massa la Russia. Da quando è cominciata l’invasione dell’Ucraina in 10 mila hanno chiesto asilo in Israele su una comunità che, nel 2019, contava 165 mila persone.
La politica è stata tagliata fuori dalle sinagoghe
«Nella nostra congregazione, non parliamo di questioni politiche», ha dichiarato a Politico.eu un rabbino di Mosca sotto garanzia di anonimato. Un ordine che è arrivato dopo la dura repressione delle proteste per la rielezione di Putin nel 2011. Qualsiasi parola pubblica contro la guerra, ha aggiunto il rabbino, «può essere usata contro la comunità ebraica». Secondo Vladimir Khanin, professore all’Università Ariel di Israele ed esperto della diaspora ebraica russa, circa un terzo degli ebrei russi attualmente è contro l’invasione. La maggior parte di loro è preoccupata, ma per paura resta in silenzio. Solo una piccola percentuale – dal 10 al 15 per cento – sostiene la guerra di Putin. Il perché è presto detto: circa il 70 per cento degli ebrei russi vive in città come Mosca e San Pietroburgo dove l’opposizione al Cremlino è più forte, e la maggior parte di loro è di orientamento liberale, con un grado di istruzione più alto del russo medio.

Gli appelli dei leader religiosi per la pace
Anche le figure religiose di riferimento hanno espresso la loro contrarietà al conflitto e lanciato appelli per la pace. Come Berel Lazar, il rabbino capo della Russia un tempo vicino a Putin, che si è offerto come mediatore tra Mosca e Kyiv, o Alexander Boroda, presidente della federazione delle comunità ebraiche russe, che certificò l’origine safardita di Roman Abramovich affinché ottenesse la cittadinanza portoghese. Il rabbino capo di Mosca Pinchas Goldschmidt, sotto pressione per sostenere la guerra, due settimane dopo l’inizio dell’invasione ha lasciato la Russia. Ora vive in Israele e ha confermato che non tornerà più.
Le parole di Lavrov su Hitler sono state un campanello di allarme
Il timore è che con il prolungamento della guerra, il Cremlino finirà per cercare capri espiatori. E gli ebrei russi sono pienamente consapevoli di essere un possibile target. Come accadde nel 1881, quando l’omicidio dello zar Alessandro II scatenò una ondata di violenza antisemita. Il fatto che il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, paragonando il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Hitler, abbia dichiarato che pure il Führer «aveva sangue ebreo» è stato un campanello d’allarme. A poco sono servite le scuse di Putin al primo ministro israeliano Naftali Bennett. Di certo, dalla caduta dell’Unione Sovietica, la vita della comunità ebraica russa è sensibilmente migliorata. Nel 2021, un sondaggio del Levada Center rilevava come il 45 per cento dei russi sostenesse di avere un atteggiamento positivo nei confronti degli ebrei, nel 2010 la percentuale era al 22 per cento. Solo l’11 per cento però ha detto di essere pronto ad avere un amico russo, nel 2010 era il 3 per cento.

Le misure di Israele per accogliere i rifugiati
L’antisemitismo insomma resta latente, ed è pronto a riesplodere. Ne è convinta Ilya Yablokov, docente di media digitali presso l’Università di Sheffield nel Regno Unito che ha scritto sull’antisemitismo in Russia. «Negli Anni 80 e 90», ha spiegato a Politico, «il brutale antisemitismo dei politici era una reazione alla polarizzazione sociale della Russia. Negli Anni 2000, la situazione economica è migliorata e di conseguenza l’antisemitismo è calato». Detto altrimenti, il Cremlino ha cominciato a prendere di mira altre minoranze mentre trasformava l’Occidente nel suo nemico numero 1. L’invasione dell’Ucraina e le sanzioni però hanno cambiato nuovamente le carte in tavola. E ora gli ebrei russi temono un ritorno dell’odio. Dal canto suo Israele ha potenziato il programma di immigrazione, l’Aliyah, che garantisce la cittadinanza a tutti coloro in grado di dimostrare di avere un parente ebreo fino alla terza generazione. I tempi di attesa ai consolati si sono accorciati da nove mese a poche settimane. Non solo: Tel Aviv ha anche permesso ai rifugiati di richiedere la cittadinanza dopo essere arrivati in Israele. Ricostruirsi una vita però non è semplice. Per questo sono nati gruppi di sostegno. Olga Bakushinskaya, una giornalista russa di 56 anni che si è trasferita in Israele nel 2014 dopo l’annessione della Crimea, ha creato una pagina Fb per aiutare i nuovi arrivati. Le richieste negli ultimi mesi si sono moltiplicate: da febbraio si sono uniti al gruppo oltre 3 mila russi e ucraini, in gran parte famiglie della classe media con bambini, che lavoravano nel mondo accademico o nelle IT. Altri cervelli che lasciano la madre Russia.