Sanzione dopo sanzione, il cerchio magico degli oligarchi intorno a Putin si sta piano piano incrinando. Secondo Forbes, la guerra in Ucraina è costata finora 128 miliardi di dollari ai grandi oligarchi russi. Il malcontento serpeggia e comincia a venire a galla. Il primo a dissociarsi pubblicamente dalle azioni del presidente russo è stato Mikhail Fridman, patrimonio personale stimato di 15,5 miliardi di dollari. Poi è stata la volta di Oleg Deripaska “solo” 4,6 miliardi secondo Forbes.
Mikhail Fridman stringe la mano a Vladimir Putin al termine di un summit con Tony Blair (Getty Images).
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Oligarchi contro Putin, la lettera di Fridman ai dipendenti
«Sono nato in Ucraina occidentale, dove ho vissuto fino a 17 anni. I miei genitori sono cittadini ucraini e vivono a Leopoli, la mia città preferita», ha scritto Mikahil Fridman in una lettera allo staff della sede londinese della sua società di private equity LetterOne, pubblicata dal Financial Times. «Ho anche trascorso gran parte della mia vita come cittadino russo, costruendo e facendo crescere imprese. Sono profondamente legato ai popoli ucraino e russo. Vedo l’attuale conflitto come una tragedia per entrambi». Fridman ha continuato: «Non faccio dichiarazioni politiche, sono un businessman con responsabilità nei confronti di migliaia di dipendenti tra Russia e Ucraina. Sono convinto però che la guerra non potrà mai essere la risposta. Questa crisi costerà vite e danneggerà due nazioni, che sono sorelle da centinaia di anni». Cinquantasette anni, nato a Leopoli, Fridman ha origini ebraiche ed è in possesso del passaporto israeliano. Nel 1991 ha co-fondato Alfa-Bank, una delle maggiori banche private in Russia, da sempre sul punto di essere acquistata dallo Stato. Dopo aver ricoperto l’incarico di Ceo della compagnia petrolifera russa TNK-BP per nove anni, nel 2013 ha venduto la sua partecipazione e co-fondato la società di investimento internazionale LetterOne, con sede a Lussemburgo. Nel 2019, il Times ha stimato che Fridman fosse il più ricco abitante di Londra: oggi può vantare ancora un patrimonio personale stimato in 15,5 miliardi di dollari.
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Oligarchi contro Putin, il messaggio di Deripaska su Telegram
«La pace è molto importante! Gli accordi vanno avviati al più presto!», ha scritto su Telegram Oleg Deripaska, oligarca vicinissimo a Vladimir Putin. Nel 2008, alla fine del secondo mandato dell’attuale presidente, Deripaska era l’uomo più ricco di Russia (e nono al mondo) con 28 miliardi di dollari, scesi oggi a meno di cinque, complici le sanzioni imposte dopo la guerra nel Donbass. Cinquantaquattro anni, anche lui di origine ebraica e con un probabile passato nel KGB, nei primi Anni 90 ha fondato diverse società che si occupavano della produzione e della vendita dell’alluminio, diventando leader nel settore. Nel 1995 dopo la bancarotta della banca Sayany, Deripaska ne ha acquisito la quota di maggioranza. Nel 1997 Deripaska ha fondato Basic Element, gruppo di investimento diversificato che nel tempo ha investito nei più svariati settori: energia, metalli e miniere, macchinari, servizi finanziari, agricoltura, edilizia, aviazione. E successivamente, insieme all’altro oligarca Roman Abramovič, ha creato la RusAl, holding che nel 2001 ha comprato i pacchetti di maggioranza di tutti i più grandi produttori di alluminio in Russia. Dal 2001 al 2018 Deripaska è stato sposato con la figlia di Valentin Yumashev, storico consigliere politico di Eltsin.

La condanna dell’ex magnate in esilio Khodorkovsky
Capitolo a parte per Michail Khodorkovsky, imprenditore in esilio e considerato nei primi Anni 2000 uno dei magnati più ricchi della Russia. A capo della società petrolifera Yukos, criticò lo stato di corruzione in cui versava il Paese e nel 2001 promosse la Fondazione “Open Russia” con l’obiettivo di sostenere le forze democratiche e della società civile. Entrò così nel mirino di Putin. Nel 2003 è stato arrestato per frode fiscale. Condannato in seguito anche per appropriazione indebita e riciclaggio di denaro, ha trascorso nove anni in prigione in Siberia, uscendo solo grazie all’amnistia. «Ha spostato la lancetta del tempo indietro di 80 anni, facendoci tornare al 1939, quando Hitler invase la Polonia», ha detto Khodorkovsky che da anni vive a Londra intervistato da Repubblica, riferendosi al presidente russo. «Putin ha perso ogni razionalità e ogni pragmatismo. La sua emozionalità prevale sulla ragione e comprende solo il linguaggio della forza».