Con un’arma alla tempia è difficile trattare. Così in sostanza il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha sintetizzato qualche giorno fa al Bundestag la situazione attuale tra Russia, Ucraina e l’Occidente che la sostiene: nessun negoziato, almeno sino a che Mosca non ritirerà le sue truppe. Questa è la posizione comune di Kyiv, Washington e Bruxelles: ci si potrà sedere al tavolo delle trattative quando Vladimir Putin poserà la pistola. Dato che il Cremlino, a parole e a fatti, sembra ancora intenzionato a continuare la cosiddetta operazione militare speciale sino a che non verranno raggiunti gli obiettivi prefissati, che a dire il vero rimangono ancora vaghi sia a livello territoriale che politico, il conflitto andrà avanti. Per quanto non si sa, visto che trattandosi non di una Blitzkrieg, ma di una guerra di logoramento, i tempi non paiono brevi. D’altra parte nel Donbass si combatte dal 2014 e gli accordi di Minsk siglati tra Mosca e Kyiv sotto la supervisione di Berlino e Parigi non sono stati altro che un alibi per posticipare la resa dei conti, non per risolvere i problemi alla radice.

La stretta russa su Bakhmut e la possibile controffensiva ucraina
Nel Donbass gli scontri che ricordano nei modi e tempi il primo o il secondo conflitto mondiale stanno mostrando anche come la mentalità al Cremlino e alla Bankova sia la stessa, quella cioè di chi è ancora convinto di poter vincere la guerra sul terreno, costi quel che costi, anche con il sacrificio immane di militari e di civili. In questi giorni si stringendo la morsa intorno a Bakhmut, dove dall’agosto del 2022 si combatte la più sanguinosa battaglia dall’inizio dell’invasione russa: alle truppe ucraine è rimasta solo una via per il ritiro, visto che l’esercito russo ha ormai quasi accerchiato la città. Da Kyiv l’amministrazione presidenziale ha fatto sapere che il ripiego è un’opzione e la ritirata strategica potrebbe essere ordinata dal presidente a breve. La battaglia sta costando enormi perdite agli ucraini e soprattutto ai russi, che sperano in una vittoria più simbolica che decisiva sul piano militare nel quadro di un conflitto di cui non si vede la fine. Le forze del Cremlino puntano poi sulle roccaforti del Donbass, Sloviansk e Kramatorsk, ma fra qualche settimana potrebbe partire la controffensiva ucraina, sia a dall’Est che a Sud. La riconquista della Crimea sta ritornando all’ordine del giorno, almeno per il presidente Volodymyr Zelensky. Tutto questo mentre nel Paese continuano a piovere missili.

Il freno del Pentagono: impossibile una vittoria chiara
Dal Pentagono, più parte in causa che osservatore esterno, è stato sottolineato come il conflitto in Ucraina non possa essere vinto da nessuno in maniera chiara, tanto più che gli aiuti occidentali sono soggetti a limitazioni tecniche e logistiche e a Washington, che traina Nato ed Europa, le idee non sono molto chiare sul livello al quale si può condurre il confronto con la Russia, che rimane una potenza nucleare guidata da un presidente che nei mesi scorsi ha più volte affermato di voler utilizzare ogni mezzo in caso di minacce alla sovranità nel Paese. Da una parte c’è dunque Mosca che non molla la presa sul Donbass, ha annesso parzialmente quattro regioni ucraine e prosegue nella guerra di attrito; dall’altra Kyiv che punta alla reintegrazione dei territori perduti dal 2014, penisola sul Mar Nero compresa. Qual è il possibile punto di incontro, se c’è?

Il braccio di ferro tra Ucraina e Russia e il vero compito dell’Occidente
La questione dell’intero quadro, compresa quella della pistola alla tempia, l‘ha spiegata bene, indirettamente anche al cancelliere Scholz, il politologo tedesco Herfried Münkler sulle colonne del settimanale Der Spiegel, affermando che in una guerra di logoramento il primo degli attori che si dichiara davvero pronto a trattare, parte in posizione di svantaggio, per cui si continuano a perseguire i massimi obiettivi. Lo stallo del conflitto d’attrito viene superato solo quando una parte, solitamente quella che con gli obiettivi militari più ampi, acquisisce la consapevolezza che questi sono impossibili da raggiungere o lo sono, ma con costi insostenibili: per definizione, sostiene Münkler, questa parte è quella che aggredisce, cioè la Russia. Perché Mosca si renda conto che gli obiettivi della guerra non possono essere raggiunti, l’Ucraina non deve cedere e da questo consegue la necessità degli aiuti occidentali. D’altra parte il problema è far sedere Zelensky al tavolo delle trattative con Putin se gli obiettivi del ripristino dell’integrità territoriale non venissero raggiunti e lo stallo temporaneo si trasformasse in permanente. Sta all’Occidente trovare con la Russia i meccanismi per garantire la sicurezza dell’Ucraina. Compito non facile, ma necessario se si vuole mettere fine alla guerra nel cuore dell’Europa.