L’andamento della guerra di invasione russa sul terreno; il conflitto propagandistico; il dialogo/negoziato tra Ucraina e Russia. Si tratta dei tre livelli di cui incrociare la dinamica per capire davvero come stiano andando le cose, da una parte e dall’altra, dalla parte dell’aggredito e dell’aggressore. Peccato che non ci sia modo di farlo con la necessaria certezza, ma tant’è visto come un fattore condizioni gli altri.
Erdogan ponendosi come mediatore cerca di far dimenticare la sua spregiudicatezza
Possiamo però muovere dalla dichiarazione del Presidente Volodymyr Zelensky quando fa stato dei primi timidi segnali positivi provenienti dal tavolo negoziale di Istanbul che la Turchia comprensibilmente esalta in termini di progressi sostanziali. La dichiarazione è rilevante anche se accompagnata da una comprensibile nota di sfiducia. In fondo è l’ammissione che qualcosa finalmente si muove anche se non c’è ancora tregua. Prendiamo atto di quella dichiarazione e del fatto che il negoziato prosegue; che si interrompe. E conforta limitatamente il fatto che Recep Tayyp Erdogan insista nel porsi come il mediatore e a mettere in ombra la sua immagine di spregiudicatezza e di discutibile adesione alla Nato di cui continua peraltro a fare parte.

La neutralità fumosa proposta da Zelensky
Prendiamo atto del fatto che Zelensky torna sul tema della neutralità per segnalare proprio in questo momento negoziale la sua disponibilità ad accoglierne lo status, seppure con il corredo di un ancora imprecisato sistema di sicurezza multilaterale. Certo si cerca in buona sostanza un simil articolo 5 della Nato – obbligo a difendere un membro attaccato – anche se col correttivo della ribadita indisponibilità a compromessi sulla sovranità e integrità territoriale ucraina, quasi che la neutralità non ne sia già una sorta di limitazione, tra l’essere la questione fuori agenda Nato e la sollecitazione derivante dalla pressione dell’aggressore.

Gli anni di ignorata conflittualità nel Donbass e il fallimento di Minsk 2
Joe Biden sente gli alleati europei e invita a non farsi ingannare da Vladimir Putin e dall’annunciato ritiro delle truppe dalla capitale e aree circostanti. Peccato che nello stesso tempo si confermi da parte americana il calo di popolarità del Presidente, ciò che certo non rafforza la coesione occidentale che del resto non sembra pronta a svolgere un ruolo visibilmente propositivo sul futuro del negoziato. Soprattutto per quanto riguarda il destino del Donbass che sintetizza tutto il versante nevralgico di questa odiosa aggressione. Punto nevralgico che però chiama anche in causa i firmatari dell’accordo di Minsk 2 del 2015, disatteso nella forma e nella sostanza dai quattro (Russia, Ucraina, Francia e Germania) e i successivi anni di ignorata ma sofferta conflittualità nell’area: questo è l’ineludibile punto dolente per il quale, a suo tempo, si sarebbe dovuto e potuto far valere l’opportunità di conciliare la sovranità col diritto di autodeterminazione. E la storia chiede sempre il conto che adesso si sostanzia nella pretesa di occupare la striscia che collega quell’area alla penisola di Crimea e di estendere il conflitto a Odessa, vero e proprio polmone dell’import-export ucraino e dunque del suo futuro sostenibile.

La tragedia dei profughi ormai arrivati a 4 milioni
Intanto prosegue la straziante vicenda dei profughi, saliti a oltre 4 milioni e la non meno deprimente distruzione fisica del Paese. Una realtà che tende a rendere insolubile l’equazione di una pace di cui si stentano ancora a vedere i contorni e mette in discussione certe idealistiche affermazioni di principio. Negli occhi di tante rifugiate ho visto paura e disperazione e non saranno certo le pur generose offerte di accoglienza a ridare loro un orizzonte di vita futura degna di questo nome.

Le implicazioni della visita di Lavrov in Cina
Il Presidente del Consiglio ha parlato con Putin: è una buona notizia in sé ma lo è anche perché Mario Draghi potrebbe aprire la finestra di una riflessione del presidente russo sull’orizzonte di una speciale autonomia del Donbass anche se per ora, come ha riferito Draghi, le condizioni per un cessate il fuoco «non sono mature». Intanto il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov è volato in Cina per un paio di incontri multilaterali col chiaro obiettivo di saldare il posizionamento russo con quell’area del mondo (parliamo di Pechino ma anche di Pakistan, Iran, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, e così via). Mosca vuole rappresentarsi come parte attiva di quella parte di mondo e sfuggire al tentativo di Biden di dividerla da essa in una logica di divide et impera che forse non è neppure nei nostri interessi.