Niente come la musica, ci diciamo sempre in tempi di pace, è in grado di unire i popoli, linguaggio capace di arrivare anche a chi non conosce l’idioma di una canzone, medium empatico per antonomasia. Il mondo è temibilmente sotto scacco, la guerra a pochi passi da noi e chiunque si può riconoscere in quel noi. Tocca, allora, vedere se nella musica, ucraina o russa, c’è una qualche risposta, una barriera in grado di opporsi a questi venti di guerra. A ben guardare qualche punto di contatto si trova, specie nel modo assolutamente irriverente e anticonvenzionale di affrontare la vita.
Il viaggio ideale parte da una notissima faccenda della recente cronaca. A Paolo Nori è stato prima negato un corso su Dostoevskij all’Università Bicocca di Milano, poi, per metterci una pezza, il prorettore Casiraghi ha detto che gli avrebbe chiesto di integrare quel corso, affiancando all’autore de L’idiota uno scrittore ucraino, finendo per allargare ulteriormente il buco. Spiegare, come Nori ha fatto, che ucraino e russo sono due lingue diverse, e che lui è uno studioso di russo, immagino, sarà stato piuttosto imbarazzante.

Da T.A.T.U a Jamala, l’inesplorato repertorio della musica leggera russa e ucraina
Sappiamo poco o niente di musica russa, se uno ci pensa, così, su due piedi, gli viene in mente un qualche motivetto tradizionale, Casatschock, il ballo della steppa, Popoff, che in realtà è una cosa dello Zecchino d’oro. Per i più colti, ovvio, il discorso è diverso, ma qui si parla di musica leggera, direi che non serva tirare in ballo Cajkovskij o Prokofiev. Di recente, intendendo con questo qualcosa di ascrivibile a quando eravamo un po’ tutti sul pianeta terra, ci sono le T.A.T.U., per altro più note per aver inscenato il siparietto delle scolarette lesbiche che per un qualche loro peso nell’ambito della musica pop. Di musica ucraina, invece, non sappiamo proprio niente, abbiamo letto, per quanto Eurovision possa essere indicatore di qualcosa, che la cantante ucraina ritiratasi dalla competizione che andrà in scena a maggio da Torino, Alina Pash, era indicata come vincitrice annunciata, e sappiamo, solo perché poi c’è andato Gabbani con la sua Occidentali’s Karma, che nel 2016 lo stesso Eurovision è stato vinto da Jamala, portando l’anno successivo l’evento a Kyiv, ma a quei tempi il contest in questione era legittimamente considerato poco più di un Giochi senza frontiere munito di adeguata colonna sonora trash, figuriamoci se qualcuno si è andato a sentire la loro rispettiva discografia.
I Gogol Bordello, il sound dell’Est mescolato al punk veloce
A volerla dire tutta, il maggior artista in ambito pop e rock ucraino, per altro divenuto ucraino quando già era stato naturalizzato americano, essendo scappato nel 1986 dall’Unione Sovietica, proprio a causa del disastro di Chernobyl, è Eugene Hütz, leader della sgangherata band punk-folk dei Gogol Bordello, nome indicativo dello spirito del gruppo. Una band di fama internazionale, certo, che mescola la musica tradizionale di quella terra, ai tempi sotto Unione Sovietica, e un punk veloce e sghembo, vagamente alla Mano Negra. Sorte condivisa, quella di mescolare musica di quelle terre con qualcosa di ascrivibile al punk, seppur in questo caso di punk in salsa elettronica si tratta, è quella della più rilevante band russa al momento. Rilevanza sempre per noi occidentali.

L’opposizione delle Pussy Riot a Vladimir Putin
Si tratta delle Pussy Riot di Nadja Tolokonnikova e Marina Aliechina, quest’ultima proprio nelle scorse settimane tornata in carcere per le accese proteste contro il governo Putin. Ricorderete tutti come delle Pussy Riot si cominciò a parlare proprio in seguito al loro arresto nel 2012, quando per protestare contro la rielezione di Vladimir Putin inscenarono una messa punk nella cattedrale ortodossa di Mosca, finendo poi per passare quasi due anni ai lavori forzati. Questo singolare passaggio, l’idea di una band così radicale dal preferire passare due anni ai lavori forzati, badate bene veri lavori forzati, di quelli che nel nostro immaginario si fanno spaccando pietre indossando divise a righe orizzontali in Siberia (e che in effetti così sono), dovrebbe lasciarci intendere quanto la cultura russa, anche in chiave punk, sia differente dalla nostra. Qui, infatti, vediamo che gli artisti restano in una omologazione generica e neutra in tutte le occasioni, senza mai esporsi per paura di perdere consensi e quindi pubblico. Al loro confronto l’arresto involontario di Eugene Hütz, avvenuto proprio in Italia, dove venne confuso nel 2007 con uno zingaro accusato di furto, o la denuncia per vilipendio alla religione, arrivatagli per la canzone Santa Marinella, nella quale si sentono ben scandite alcune bestemmie (in italiano), è poca cosa.

Eugene Hütz: la raccolta fondi per donare all’esercito ucraino materiale bellico
Le Pussy Riot, almeno la sola Nadja, attualmente negli Usa e a piede libero a differenza della sua sodale, hanno sin da subito dichiarato il loro dissenso verso Putin e la sua politica di guerra, una loro raccolta attraverso NFT ha già messo insieme quasi sette milioni di dollari che saranno devoluti all’Ucraina. Da parte sua Eugene Hütz, naturalizzato americano, padre russo e madre ucraina, con Patti Smith ha organizzato per il 10 marzo un concerto a New York, trasmesso in streaming, per raccogliere fondi che attraverso l’organizzazione Come Back Alive porterà all’esercito Ucraino droni, softwere e altro materiale bellico, anche in questo caso una mossa decisamente originale, beneficenza a sostegno di chi pratica la resistenza. La cifra raccolta, stando alle ultime informazioni, è superiore ai quarantacinque milioni di dollari. Punk sì, ma anche concreti.