Oltre il 65 per cento di bielorussi ha votato sì al referendum per rafforzare i poteri ad Alexander Lukashenko ora sempre più simile a un piccolo Putin. Un voto che è legato a doppio filo alla guerra in Ucraina. E non solo perché in Bielorussia, nella zona di Gomel sulla riva del fiume Pripyat, il 28 febbraio si tengono i colloqui tra le delegazioni di Kiev e Mosca, ma soprattutto perché il referendum ha cancellato anche l’obbligo per la Bielorussia – che confina con l’Ucraina e la Polonia – di rimanere una zona denuclearizzata. Tra le modifiche ci sono anche l’immunità a vita per gli ex presidenti e l’introduzione di un limite di due mandati presidenziali ma solo per i successori di Lukashenko che è al potere dal 1994.

L’Ue pronta a nuove sanzioni contro la Bielorussia
Gli occhi sono puntati su Minsk. Secondo fonti citate da The Kyiv Independent, la Bielorussia starebbe per unirsi alla guerra della Russia contro l’Ucraina. Non va dimenticato che da mesi in Bielorussia si trovavano 30 mila soldati russi per una esercitazione militare congiunta. In questo modo Putin avrebbe fatto del Paese alleato una delle porte per l’invasione in Ucraina. Vista la situazione l’Ue ha annunciato sanzioni anche contro l’alleato di Putin: «Prenderemo di mira l’altro aggressore in questa guerra: il regime di Lukashenko», ha assicurato la presidente della Commissione Ursula Von der Leyen. «Il regime di Lukashenko è complice di questo feroce attacco contro l’Ucraina. Quindi lo colpiremo con un nuovo pacchetto di sanzioni: stop all’export di prodotti come carburanti minerali, tabacco, legname, cemento, ferro e acciaio. E sarà esteso il divieto di scambi commerciali per quei settori su cui è stata sanzionata la Russia».
Così Lukashenko ha pagato l’aiuto di Putin
La sudditanza completa di Minsk a Mosca è cosa abbastanza recente. Fino al 2020, infatti, Lukashenko aveva tratto vantaggio dalle tensioni tra Russia e Occidente ponendosi come punto di equilibrio tra le due parti. Come spiega il Carnegie Moscow Center, la stretta russa sul vicino si è fatta più pesante dopo le contestate elezioni presidenziali del settembre 2020 e la violenta repressione del regime di Minsk nei confronti dell’opposizione. A quel punto lo spazio di manovra di Lukashenko con l’Occidente si è ridotto a zero spingendolo nell’abbraccio di Putin. Il presidente russo è corso in aiuto del vicino scomodo anche nell’ultimo scontro con Bruxelles circa i migliaia di migranti ammassati da Minsk al confine con la Polonia con l’obiettivo di destabilizzare l’Ue. Come segno di fedeltà, Lukashenko ha quindi riconosciuto lo scorso novembre l’appartenenza della penisola di Crimea alla Russia e naturalmente ha appoggiato Mosca nella escalation con l’Ucraina contro Usa e Ue.

Tikhanovskaya: «La Bielorussia è un hangar militare della Russia»
La Bielorussia si è così trasformata in una sorta di protettorato russo, come del resto ha spiegato in una intervista al Corriere della Sera Svetlana Tikhanovskaya, leader della resistenza bielorussa in esilio. «Il nostro Paese è trattato come un hangar militare, come la portaerei della Russia», ha detto senza giri di parole Tikhanovskaya. «Il ruolo di Minsk è stato attivo. Il regime, che usa il nostro Paese come un suo terreno, ha dato alla Russia spazio, infrastrutture e aiuto militare». Aggiungendo: «Lui è in debito con Putin per il sostegno nella repressione dei nostri movimenti, e così gli dà la nostra terra praticamente in affitto». In altre parole la Bielorussia non è che un’area di sosta per le truppe russe. E ora con la fine del no-nucleare rappresenta una minaccia ulteriore per l’Occidente.
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I rischi che corre Lukashenko
Se gli equilibri di forza tra Bielorussia e Russia sono cambiati, lo stesso però non si può dire di Lukashenko che – come fa notare il Carnegie Moscow Center – non si è mai sentito a suo agio nei panni del vassallo. Proprio per questo, Washington ha cominciato a prenderlo di mira, tacciandolo di non aver più il controllo della situazione. Anche un eventuale ingresso nel conflitto sarebbe un boomerang per il presidente bielorusso che nei 27 anni di regno ha sottolineato più volte il suo successo nel mantenere la pace. Nel recente discorso sullo stato della nazione, l'”ultimo dittatore d’Europa” – come è stato chiamato – al netto della retorica militarista aveva assicurato che l’esercito bielorusso ha un obiettivo: proteggere il Paese sul proprio territorio. Infine, al di là di come finisca il braccio di ferro tra Russia e Occidente – guerra aperta o accordi – Minsk è destinata a uscire sconfitta. Nel primo caso Lukashenko non potrà fare ulteriori concessioni al Cremlino, nel secondo perderebbe ogni funzione e quindi ogni peso agli occhi di Putin. L’ideale per Lukashenko sarebbe l’instaurarsi di una zona grigia. A quel punto dovrebbe solo “vendere” la sua lealtà storica a Mosca come sempre evitando però pesanti perdite.