Perché la propaganda russa oscura i generali impegnati in Ucraina

Redazione
12/07/2022

La propaganda russa non cita quasi mai i generali impegnati nell'invasione dell'Ucraina. E quando lo fa li relega al ruolo di comprimari. Ad averlo deciso è Putin preoccupato della eccessiva popolarità che potrebbero ottenere.

Perché la propaganda russa oscura i generali impegnati in Ucraina

La propaganda del Cremlino continua a esaltare i successi dell’esercito russo in Ucraina e a raccontare le imprese eroiche di soldati semplici e ufficiali di secondo grado, ma è avara di dettagli su chi quelle operazioni le conduce. E cioè i generali, relegati dalla narrazione di regime al ruolo di comprimari. L’attenzione infatti deve essere sempre puntata sull’unico vero comandante in capo: Vladimir Putin. Non è un caso. Come rivela Meduza, l’ordine viene dall’alto. È lo stesso presidente che censura ogni tipo di pubblicità dei vertici militari, preoccupato che possano guadagnare sul campo una eccessiva popolarità.

I generali russi sono trattati come comparse

Così nella migliore delle ipotesi i generali diventano comparse nelle cerimonie e nelle premiazioni dei soldati celebrati  per aver portato a termine gli ordini dati dal capo supremo. È accaduto recentemente ad Alexander Lapin e a Esedulla Abachev insigniti del titolo di Eroe della Russia dopo aver preso il controllo della regione di Lugansk a inizio luglio. Una onoreficenza, si legge nelle motivazioni, per il «coraggio e l’eroismo mostrati nell’esercizio del dovere militare». In cosa consistano questo coraggio e questo eroismo però non è dato sapere. Secondo i ben informati Putin non vuole avere a che fare con figure ingombranti e potenzialmente pericolose. E ritrovarsi alle prese con un nuovo generale Lebed.

Perché la propaganda russa oscura i generali impegnati in Ucraina
Alexander Lebed a un meeting Nato (getty Images).

A Putin non serve un altro Lebed

Il tenente generale Alexander Lebed, già veterano dell’Afghanistan e a capo della 106esima divisione aviotrasportata, partecipò alle repressioni di Tbilisi, in Georgia, nel 1989 e a Baku, in Azerbaijan, nel 1990 servendo anche in Transnistria. Nel 1994, Lebed già molto popolare definì l’ingresso delle truppe in Cecenia «sciocco e stupido», entrando in aperto conflitto con l’allora ministro della Difesa Pavel Grachev. Un anno dopo il generale si dimise per entrare in politica. Alle elezioni del 1995 il blocco dei conservatori non riuscì a superare lo sbarramento del cinque per cento necessario per entrare alla Duma, ma alle Presidenziali dell’anno successivo Lebed arrivò terzo con il 14,7 per cento. Al secondo turno sostenne Boris Yeltsin che in cambio lo nominò capo del Consiglio di Sicurezza. Ruolo con cui firmò gli accordi di pace di Khasavyurt con la  Cecenia. Nel 1998 si ‘ritirò’ in Siberia, dove venne eletto governatore del territorio di Krasnoyarsk. Ma fu tutt’altro che un buen retiro: anche qui si scontrò con i potentati locali chiedendo l’intervento del Cremlino dove da poco si era insediato Putin. La sua carriera finì improvvisamente il 28 aprile del 2002 quando l’elicottero sul quale viaggiava precipitò.

I generali star delle guerre cecene

Lebed non è stato l’unico generale ingombrante della recente storia russa. Anche i suoi colleghi Gennady Troshev, Vladimir Shamanov, Viktor Kazantsev e Konstantin Pulikovsky, star delle guerre cecene, hanno dato filo da torcere al Cremlino. Shamanov scelse la carriera politica e nel 2000 venne eletto governatore della regione di Ulyanovsk. Troshev invece nel 2002 disobbedì pubblicamente al ministro della Difesa Sergei Ivanov rifiutando la nomina a capo del distretto militare siberiano. Kazantsev e Pulikovsky hanno invece ricevuto gli incarichi di plenipotenziari presidenziali nei distretti federali nati nei primi Anni 2000.

Nessuno sa davvero chi stia guidando l’esercito russo

Figure del genere, carismatiche e coccolate dai media, non esistono nella propaganda sulla guerra in Ucraina. Ormai i media non ricordano nemmeno più chi è a capo dell’esercito. Lo scorso aprile, fonti della Bbc avevano confermato il passaggio del comando al generale Alexander Dvornikov. Poi indagini indipendenti avevano svelato che in realtà a capo delle truppe c’era il viceministro della Difesa Gennady Zhidko. Come i generali, anche il ministro della Difesa Sergei Shoigu non gode delle luci della ribalta. Dopo l’inizio dell’invasione, per tre settimane fece perdere le sue tracce alimentando ogni genere di voce sulle sue condizioni di salute. Solo a giugno si è recato al fronte. Era la prima volta.

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Da sinistra il capo dello stato maggiore Valery Gerasimov e il ministro della Difesa Sergei Shoigu (Getty Images).

L’incognita della popolarità

Se un generale fosse costantemente sotto i riflettori, comparisse quasi quotidianamente nei telegiornali, diventerebbe inevitabilmente popolare, è il ragionamento delle fonti vicine alla presidenza sentite da Meduza, e non si sa a cosa potrebbe portare una fama simile tra coloro che sostengono la guerra. Molti infatti sarebbero portati ad ascoltare un militare di alto grado impegnato sul campo invece di un leader chiuso nel suo palazzo. Invece la moltitudine di soldati e ufficiali offrono materiale infinito e soprattutto inerte alla narrazione della grandezza russa.